Roma - Apre l’ufficio di presidenza del Pdl e subito rassicura tutti. «Occorre un segnale di compattezza come realmente è», dice un Berlusconi ben consapevole di quanto sia alta ormai da giorni la tensione all’interno del partito. Ecco perché per prima cosa smentisce le ricostruzioni giornalistiche che gli attribuiscono la volontà di lanciare qualcosa di diverso dal Pdl, con tanto di affondi ai quotidiani «amici» che «fanno più male rispetto agli altri». Il partito, assicura, non è in discussione, anche perché «conosciamo l’esperienza di chi è uscito dalla casa madre e si è perso per strada». Insomma, niente spacchettamenti né liste civiche che nascano dall’interno del Popolo della libertà con l’inevitabile risultato di ridurne il bacino elettorale. Anche se, a dimostrazione che i timori di quasi tutta la dirigenza di via dell’Umiltà qualche fondamento ce l’hanno, il Cavaliere aggiunge che «se Montezemolo, Bertolaso o Sgarbi vogliono fare una loro lista per correre insieme al Pdl non posso certo impedirglielo». Come a dire che il tema c’è ed è stato affrontato e discusso.
La parola passa all’ufficio di presidenza e Berlusconi ascolta gli interventi. Ogni tanto prende la parola, come quando La Russa dice che alle volte sembra «vestire i panni di allenatore di altre squadre che giocano in altri campionati». «Io gioco in questa squadra», è la risposta. Una riunione in cui ognuno dice la sua, con la Santanché e Galan che affondano duro mentre Matteoli critica la lettera di Schifani (striderebbe con il suo profilo istituzionale) e Scopelliti invoca un ritorno tra la gente. Una giornata che in verità lascia intatte le perplessità e i timori del gruppo dirigente, anche se il mettere nero su bianco le primarie per la premiership è un primo, piccolo passo avanti. Non solo, come dice Bonaiuti, «perché così ristabiliamo il confronto fra due aree culturali tipico delle democrazie bipolari». Quanto perché in qualche modo si ufficializza un dato già nei fatti noto: Berlusconi non si ricandiderà a Palazzo Chigi visto che si è sempre detto che finché il Cavaliere era in campo le primarie erano escluse perché nessuno si sarebbe presentato contro il «padre fondatore».
Ecco perché a sera Berlusconi si dice «sollevato», perché «nonostante qualche mugugno riusciremo a tenere il partito unito». Un Pdl, spiega durante l’ufficio di presidenza snocciolando i sondaggi di Euromedia, che da quando si è insediato Monti «è passato dal 27 al 20%». Per due ragioni: «Il 74% dei nostri elettori non condivide l’appoggio al governo, mentre la parte restante non vuole Berlusconi nelle retrovie». E forse è anche per questo che, seppure nel ruolo di «allenatore», il Cavaliere non sembra intenzionato a restare dietro le quinte. Non a caso davanti all’ufficio di presidenza non si fa mancare due o tre affondi. Quello sui pm, dopo essersi congratulato con Fitto per la recente «doppia assoluzione». I magistrati, dice, tengono le persone in carcere al solo scopo di far muovere accuse nei miei confronti. Poi va giù duro sul fisco. E spiega di essere contrario all’Imu aggiungendo che «bisognerebbe chiudere Equitalia». Concetto magari un po’ forte, ma sul quale anche Alfano batte da qualche giorno visto che in più d’una occasione ha detto che «rivedere i poteri di Equitalia non può essere un tabù».
D’altra parte, è sulla pressione fiscale che tutto il Pdl punta il dito contro Monti. E non c’è un solo intervento che non sia critico verso l’esecutivo: da chi chiede di staccare la spina subito a chi pretende che il Pdl inizi a porre paletti seri e votare i provvedimenti solo se li condivide davvero. Un tema caldo.
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