Il sindaco affida a una lettera il suo saluto al presidio contro la 'ndrangheta organizzato da Pd, Idv e Sel

MilanoSindacati, partiti della sinistra, Acli, ambientalisti: oltre mille le persone che ieri sera hanno affollato piazzale Lombardia per chiedere le dimissioni del presidente Roberto Formigoni urlando sotto la finestra del suo ufficio. Ma quel che stupisce è vedere anche la giunta del sindaco di Milano Giuliano Pisapia quasi al completo. Istituzione contro istituzione. Ci sono gli assessori, i capigruppo. C'è il sostegno di Bruno Tabacci che in Regione è anche stato presidente dal 1987 all'89. Il sindaco è assente ma invia un messaggio che viene letto dal palco: «Milano e la Lombardia si devono ribellare a un potere ormai morente di cui vediamo ogni giorno gli effetti devastanti». Ci sono Giorgio Gori, Roberto Vecchioni, don Colmegna. La piazza applaude, sventola le bandiere con la falce e il martello e alza i manifesti che danno dei «pisciaturi» ai leghisti e dei malavitosi a tutti gli altri parafrasando le intercettazioni della 'ndrangheta.
Nelle dirette televisive la folla dà il meglio: va in scena il copione collaudato dei girotondini, il solito cliché che funziona, i canti, i cartelli che chiedono giustizia. Sembra la piazza del popolo quando invece è la piazza dei partiti. Gli stessi partiti che non hanno fatto una piega quando sul banco degli inquisiti ci è finito per presunte tangenti il loro ex candidato governatore Filippo Penati. I collegamenti tv fanno il gioco di Saviano e compagni che in prima serata predicano contro la corruzione e i poteri forti.
Il clima è quello del lancio delle monetine a Craxi quando uscì dall'hotel Raphael. Una scena che non dovrebbe essere l'epilogo di nessuna amministrazione e dalla quale i Radicali si sono chiamati fuori. Ricordando che tra quelli che nel 1993 insultarono Craxi «c'erano anche i giovani Franco Fiorito». «Difettate dai tanti che per ribellarsi hanno aspettato che il potere cadesse nel fango» critica il radicale Marco Cappato. Ma la sinistra non ascolta ragioni e cerca in tutti i modi di prendersi il merito della disfatta dell'era formigoniana, senza capire che, se uno scioglimento dei ranghi ci sarà, non sarà certo per la protesta di Sel e compagni.
Pd e frange più estreme chiedono la testa del governatore e si augurano che i Radicali da domani tornino a «dire qualcosa di sinistra». Spuntano anche i consiglieri della precedente amministrazione, quelli del terzo mandato di Formigoni. «Anni fa - sostengono ex Verdi ed ex Margherita - c'era un confronto più sensato, c'era più dignità istituzionale». Dopo aver infuocato gli animi, oggi la sinistra si aspetta l'annuncio delle dimissioni del governatore in Consiglio regionale. C'è voglia di cambiamento, di rivoluzione. Ma in fondo in fondo la sinistra si rende conto dei suoi punti deboli. Che, come sempre, riguardano i candidati presidenti. In fila per eventuali primarie ce ne sono parecchi, qualcuno fa già le prove per i comizi ma la coesione, quando c'è da costruire e non solo da protestare, tentenna. Se ne rende conto anche Giulio Cavalli (Sel) che dal palco sotto il palazzo della Regione sprona il centro sinistra a «smetterla di essere balbettante e diviso ma impari a stare assieme». Dal canto suo il presidente Formigoni non si lascia spaventare dalla piazza gremita che inneggia contro di lui con tanto di banda.

«Non fa impressione qualche centinaio di persone che manifestano la loro opposizione a Formigoni - commenta - Secondo i sondaggi il 50,1% dei cittadini chiede che Formigoni vada avanti col suo mandato. Alcune centinaia di persone che non sono d'accordo con Formigoni sono la fisiologia della democrazia».

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