La ricetta di Bankitalia per superare la crisi reale, quella che parla di soldi a fine mese, di lavoro, di consumi e di produzione, passa per tre più: «Si lavori di più, in più e più a lungo». Il teorico delle addizioni è Ignazio Visco, il numero uno di via Nazionale. Il governatore è a un convegno su donne e economia, ma le sue parole sono un sostegno al braccio di ferro tra governo e Cgil sulla riforma del lavoro.
Visco racconta un Paese vecchio, dove ci sono troppi muri, troppi ostacoli. C’è una cittadella protetta e ci sono masse sparse che si affannano a cercare una crepa, un fosso, un passaggio segreto per superare le mura. Quelli dentro diminuiscono, quelli fuori aumentano e premono. Il risultato di tutto questo è che la produzione non è più ai livelli di un tempo. È un Paese fermo, stagnante, dove non circola più moneta e dove è sempre più difficile fare impresa. Visco sostiene che bisogna rimuovere questi ostacoli, anche a costo di contrastare rendite di posizione e interessi particolari. Bankitalia, insomma, chiede di aprire le porte della roccaforte.
Chi c’è a guardia della roccaforte? La Cgil. Ma dietro la Cgil c’è un mondo. È quello di chi pensa di risolvere la questione del precariato con un solo più: più Stato. Non c’è lavoro? Ci pensa lo Stato ad assumere. I privati non fanno più contratti a tempo indeterminato? Lo Stato cancella i contratti atipici. Non c’è domanda di beni, quindi si produce di meno, quindi si assume di meno? Non c’è problema: lo Stato fa le buche e poi le ricopre. Il sogno reazionario di tutti quelli che stanno nella cittadella è tornare al Novecento, al paradiso perduto del posto fisso e dello statalismo di massa. L’unico problema è che a partire dagli anni ’70 lo Stato ha consumato le risorse di ieri, oggi e domani.
Il paradosso è che per il partito dei reazionari solo due cose lo Stato non deve fare: abbassare le tasse e ridurre le spese. L’idea di uno Stato magro e meno ingordo non gli piace. Lo vogliono grasso e bulimico. La risposta che arriva quindi al discorso di Visco è uno sberleffo. Il dipietrista Felice Belisario se la cava con il surreale: «Il governatore della Banca d’Italia deve aver scoperto la pozione magica dell’immortalità». Neppure nel Pd i tre più di Visco sono piaciuti. Non ha gradito Bersani. Non ha gradito l’ala dura, quella che sogna un Pd vendoliano. Cesare Damiano sintetizza per tutti: «Visco ci vuole far lavorare tutti fino a 70 anni».
Non è questo il ragionamento del governatore. Quello che chiede Visco è di rimuovere i freni che stanno rallentando in modo quasi tragico la nostra economia. È per questo che alle tre più manca qualcosa, qualcosa che Visco non ha detto. Non solo bisogna lavorare di più e più a lungo, ma è necessario e urgente anche lavorare meglio.
Lavorare meglio significa stipendi più alti, meno tasse sul salario e un’orizzonte più dinamico, quindi più investimenti, più ricerca, più mercati, più coraggio. Tutto questo è possibile solo con l’aiuto delle banche. È qui che il discorso del governatore di Bankitalia è carente.
La Bce ha salvato gli istituti di credito dalla crisi. Li ha sostenuti. Ha stanziato soldi e risorse. Questo capitale non può e non deve restare solo nelle banche come rete di salvataggio o per investimenti in borsa. No, quei soldi sono linfa vitale per le imprese. Ne hanno bisogno per continuare a sperare, per inventarsi un futuro, per assumere, per andare avanti. Allora se si vuole lavorare di più il ruolo delle banche è centrale. È lì che in gran parte passa il sentiero che porta fuori dalla crisi.
La sinistra non ha voglia di lavorare
Bankitalia chiede più impegno e produttività. Ma Bersani & Co. preferiscono il vecchio statalismo. Guai ad abbassare tasse e spese: meglio un Paese ingordo
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