È come se i magistrati avessero tolto un tappo. Da quando i pubblici ministeri di Monza hanno iniziato a scavare negli affari di Seso San Giovanni, negli uffici della Procura sono piovute decine di esposti anomini contro i presunti affari illeciti di Filippo Penati e del gruppo di professionisti e imprenditori che si sarebbero spartiti la grande torta dell'ex Stalingrado d'Italia. Ovviemente, si tratta di denunce che gli inquirenti hanno preso con le dovute cautele, perché dietro lo schermo dell'anonimato si possono nascondere risentimenti personali e vendette politiche. Ma quello che emerge è un clima di veleno accumulato negli anni, venuto a galla non appena il sistema ha mostrato le prime crepe. Ce n'è per tutti.
Il 16 settembre dell'anno scoro, al pm Walter Mapelli viene segnalato come «nel Comune di Piovera c'è una tenuta agricola di proprietà del signor Marcellino Gavio (l'imprenditore scomparso nel 2009 da cui la Provincia acquistò per un prezzo monstre il 15% delle azioni di Serravalle, ndr)», e «in tale posto esiste un archivio che riguarda il traffico Gavio-Penati e "soci"». Ancora, il 10 settembre «un amico» scrive che «da fonti certe la società V. ha acquistato un terreno nell'area Falck e ha elargito una buiona tangente a Penati&C.». C'è chi, l'8 agosto del 2011, parla di tale ingegner M.M. «attraverso cui sono state pagate tangenti per il considerevole valore di oltre 10 milioni di euro in favore della Provincia e del suo Presidente per facilitare il percorso amministrativo autorizzativo dell'area ex Dogane di Segrate e il palazzo del Centro servizi di Orio».
Qualcun altro ricorda come «per trattare la questione» della variante al Pgt di Sesto «venivano nella sede comunale due funzionari del partito direttamente da Roma». Un anonimo di Bologna, invece, ripercorre la carriera di Omer degli Esposti, vicepresidente del Consorzio Cooperative Costruzioni del capoluogo emiliano (indagato dai pm di Monza), descritto come il «fulcro della cooperazione rossa che traffica sui grandi affari e appalti pubblici». E c'è chi, sempre ad agosto, segnala il ruolo di Massimo Di Marco (membro del cda di Serravalle su nomina di Penati, e finito nell'inchiesta monzese), definito «un soggetto da non sottovalutare nei rapporti incestuosi che Penati intratteneva fra politica e affari».
L'anomino racconta di come Di Marco abbia «propinato largamente consulenze discrezionali». Un aspetto che, in effetti, gli inquirenti non hanno affatto trascurato. E così avanti: fogli scritti a mano, battuti a macchina, stampati al computer.
Lettere su lettere, ciascuna delle quali racconta un piccolo spaccato di malaffare (vero o soltanto presunto), tessere di un enorme puzzle nel quale il confine tra una denuncia fondata e un'infamante delazione si perde nel miasma avvelenato che avvolgeva il sistema Sesto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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