Società civile, naufraga il falso mito della sinistra

Dall'alto della loro popolarità si concedono al deserto da redimere che si chiama politica. Ma appena affondano un po' i piedi nella sabbia si scottano e fuggono. Oppure s'infrattano

Società civile, naufraga il falso mito della sinistra

Viene dalla «società civile» Josefa Idem. È stata scelta come assessore a Ravenna, e poi come senatrice della Repubblica e ministro, perché è una campionessa dalla carriera intramontabile, una «testimonial» dello sport, un'italiana acquisita, una donna e perciò ingrossa le file delle quote rosa. È un esempio, un simbolo. Mille buoni motivi, tra i quali non compariva quello di essere un buon amministratore. Quello - se arrivi dalla società civile - lo impari con il tempo, sempre che lo impari.

Alla conferenza stampa di sabato a Palazzo Chigi, l'ex ministro dello Sport si è difesa elencando le medaglie olimpiche senza però fugare gli interrogativi sui pagamenti Ici e gli abusi urbanistici. Sono fatti così, i politici approdati dalla società civile: pensano di viaggiare un metro sopra gli altri, che i meriti del passato siano garanzie per il futuro. Essendo stati cooptati e non eletti (o eletti in collegi blindati), ignorano che la politica - come disse Rino Formica - è «sangue e merda», è fatta pure di battaglie e agguati, di critiche cui rispondere, di trasparenza e di Ici pagate anche a propria insaputa. Come Mario Monti, essi «salgono» in politica considerandola una palude da bonificare, una terra di selvaggi da rendere civile. Loro sono quelli bravi, quelli che sanno tutto, i messia che vengono a sistemare le cose perché hanno le mani pulite e ora si degnano a immergerle nel fango, ovviamente indossando un paio di guanti sterili per non contaminarsi.

Sono sportivi, cantanti, giornalisti, magistrati, imprenditori. Dall'alto della loro popolarità si concedono a questo deserto da redimere che si chiama politica. Ma appena affondano un po' i piedi nella sabbia si scottano e fuggono. Non reggono. Oppure s'infrattano. Roberto Vecchioni fu l'immagine della campagna elettorale milanese di Giuliano Pisapia; prima del ballottaggio a Napoli tenne un concerto per Giggino De Magistris, il quale da sindaco gli diede la presidenza (per 220mila euro) del Forum delle culture: il cantautore se n'è andato dopo poche settimane. Anche Franco Battiato non è durato molto come assessore al Turismo e Cultura della Regione Sicilia voluto da Rosario Crocetta, e dei suoi cinque mesi in giunta restano in mente soltanto gli insulti ai parlamentari italiani («queste troie farebbero qualsiasi cosa»).

Messi alla prova dei fatti, gli ottimati prelevati dalla società civile danno prova di sprovvedutezza, come capita al magistrato Antonio Ingroia o ai parlamentari grillini scelti rigorosamente tra gente priva di esperienze politiche. Non si ricordano gesta eclatanti neppure da imprenditori trasferitisi nei palazzi del potere romano, come il democratico Matteo Colaninno. Nel Consiglio di amministrazione Rai siedono, nominati dal Pd, due autorevoli rappresentanti della medesima «società civile» come l'ex pubblico ministero Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi, figlia del giornalista ucciso dal terrorismo rosso negli anni di piombo: hanno cambiato qualcosa nella tv di Stato? Anche il mondo dei giornali è una fucina di politici: Lilli Gruber, Santoro, Sassoli, Badaloni, Mucchetti, mezzibusti ed editorialisti che per la gran parte sono tornati a fare il loro vecchio mestiere, abili a conquistarsi prebende e indennità ma incapaci di reggere le fatiche della politica italiana ed europea. E non parliamo dei tecnici paracadutati dalle università.

Tra politica e società civile, ha scritto recentemente il sociologo Giuseppe De Rita sul Corriere della Sera, il rapporto è talmente «stanco e inerte» che dovrebbe portare a un «divorzio consensuale»: «Il

meticciamento fra i due mondi non ha avuto successo, ognuno di essi torni quindi a riprendere la propria orgogliosa via di sviluppo», auspica De Rita sul Corriere. Battiato, Vecchioni e Josefa Idem l'hanno preso in parola.

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