L'accelerazione di Enrico Letta sulla riforma del Porcellum («Ad ottobre il Parlamento la approverà») alimenta nuove tensioni con il Pdl e riaccende lo scontro interno al Pd.
«Non comprendo le motivazioni della fretta», dice il capogruppo Pdl al Senato, Renato Schifani, che esclude ci siano «margini di avvicinamento» tra i due alleati di governo sulla legge elettorale, che può al massimo essere corretta «sulla soglia di sbarramento». Mentre dal fronte Pd il vicepresidente della Camera Roberto Giachetti attacca Anna Finocchiaro, rea di aver «scippato» a Montecitorio la legge elettorale per incardinarne l'esame nella commissione del Senato da lei presieduta. E Giachetti critica anche il premier e tutto lo stato maggiore Pd, invitandoli a prendere una posizione chiara su quale legge elettorale si vuole, perché «nelle dichiarazioni di queste ultime settimane a favore del superamento del Porcellum si nasconde una perdurante ambiguità che non può più proseguire». Il sospetto di Giachetti (e di molti sostenitori del maggioritario in casa Pd) è che in realtà si punti a un accordo al ribasso con il Pdl, o in alternativa con i Cinque Stelle, per un maquillage del Porcellum (cui starebbe lavorando il ministro Franceschini) che si limiti ad alzare copra al 40% la soglia del premio di maggioranza. Superando così le obiezioni della Corte Costituzionale, ma soprattutto tornando a un impianto ferreamente proporzionale (graditissimo ai grillini) che renderebbe pressoché inevitabili nuovi accordi consociativi nella prossima legislatura, e renderebbe estremamente arduo l'obiettivo di vincere con una chiara maggioranza anche al favorito Matteo Renzi. «Grandi intese for ever, per far fuori Matteo, questo è questo l'obiettivo», dicono i renziani.
Nel frattempo c'è chi nel Pd riesuma le ipotesi dello sfortunato «governo di cambiamento» con i grillini per cercare di spaventare il Pdl che minaccia la crisi se verrà votata la decadenza di Berlusconi dal Parlamento. E l'indimenticato ex capogruppo Cinque Stelle Vito Crimi annuncia che i grillini sono pronti a scendere in campo: «Adesso abbiamo un'autorevolezza che prima, da esordienti, non potevamo avere. Per questo ci sentiamo pronti a governare», assicura. In realtà, a parte l'ineffabile Alessandra Moretti e un po' di movimentisti alla Civati, nessuno nel Pd crede alla possibilità di maggioranze alternative con Grillo e Casaleggio. Men che mai Letta. «L'unico patto possibile con i Cinque Stelle può essere quello di fare una legge proporzionale e andare subito al voto», nota un dirigente vicino al premier. E in quel caso Letta, «forte di una leadership che in questi mesi è cresciuta dentro il partito, e del lavoro fatto dal governo», sarebbe pronto a scendere in campo per la premiership. Nella convinzione che, se la rottura arrivasse sull'incandidabilità di Berlusconi, Letta potrebbe rivendicare davanti all'elettorato di sinistra il merito di aver mandato lui a casa il Cavaliere, a prezzo del suo governo.
A Palazzo Chigi, però, la speranza resta quella che «Berlusconi, che è un lucido uomo d'azienda, capisca che lo show down non gli conviene, e che ha tutto da perdere dalla caduta di questo governo, dopo il quale rischia di avere un risultato elettorale più debole e di ritrovarsi con Prodi al posto di Napolitano», dicono i Letta boys.
Se non bastassero i grossi guai che deve fronteggiare sul versante governo, a Letta in queste ore tocca anche tenere a bada il turbolento dibattito precongressuale del Pd.