Roma Tasse, tasse e ancora tasse. Monti ammette che il torchio fiscale è il suo pallino principale: «Quello dell'evasione fiscale - dice agli stati generali dei manager a Milano - è un tema su cui ci siamo accinti con intensità, durezza e brutalità». Far pagare tutti va bene; ma qui si stritola anche il contribuente onesto. Il Professore non si ferma qui: «Sapeste quante volte siamo stati tentati di fare dei condoni, e forse avremmo avuto più attenuanti morali e civili di altri governi. Ma non l'abbiamo fatto». A proposito di condoni, Monti non ricorda di aver già tassato i capitali scudati, ossia rientrati in patria. Rimpatriati con delle regole che però lo Stato ha cambiato perché affamato di denaro. La parola d'ordine del governo resta quella: racimolare il più possibile con la tagliola del fisco sia i capitali emersi che quelli nascosti. «In qualche caso siamo andati ai margini della violazione della privacy», ammette il premier.
Che però si giustifica così: «Siamo in stato di guerra e non è possibile avere una pace sociale tra cittadini e Stato se non con una riduzione del fenomeno» dell'evasione fiscale. Non si può «dire pienamente che sono sempre i soliti noti a pagare, perché abbiamo messo alla contribuzione individui o società che avevano scarsa familiarità con l'adempimento degli obblighi fiscali e messo pezzettini modesti di imposta patrimoniale su taluni cespiti e applicato un'addizionale alle posizioni rivenienti dallo scudo fiscale». Secondo Monti, «varrebbe anche la pena dare un peso un pochino minore a un valore che è la privacy. Dal dicembre 2011, varata la norma Salvaitalia, abbiamo inserito poteri di contrasto all'evasione e siamo stati criticati e in qualche caso - ripete - siamo andati ai margini dell'infrazione ai diritti alla privacy».
Ma non è finita qui. Continuano i contatti tra Roma e Berna per l'accordo sulla tassazione dei capitali volati oltralpe. Il premier dice: «Nel negoziato fra Italia e Svizzera sui patrimoni esportati oltre confine ci poniamo dei paletti, perché non ci siano o siano molto limitate forme di condono». Quindi il Professore parla di una sorta di «senso di frustrazione» perché nel suo anno di governo «c'è stato un carico pesante di resistenza degli individui e del sistema» alle proposte di riforme avanzate dall'esecutivo. Ammette che talvolta ha deluso: «Con enorme sforzo - cita il taglio delle province - si sono portate proposte di riforme e alla fine quel che si è partorito è molto meno di quello che esigenti economisti pretendevano. Non si potrà fare di più se non cambierà la cultura economica e politica del Paese».
Quindi boccia il federalismo perché «non vedevo in esso una costruzione ben formata e lo abbiamo demitizzato». Poi conferma di guardare fisso all'Europa: «Non esiste sviluppo italiano senza Europa - dice dopo aver parlato al telefono con la Merkel in vista dell'Eurogruppo - e mi auguro che chiunque governi l'Italia sappia esercitare una forza convincente in Europa che deriva dal modo in cui si adempiono in casa propria le regole dell'Unione».
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