«Deve andare nella capitale... a L... No, scusa L... è lo Stato, B... è la capitale». Le avrebbe capite persino un bambino le decine di telefonate con dialoghi criptati tra l'ex ministro dell'Interno Claudio Scajola e Chiara Rizzo, moglie di quell'Amedeo Matacena passato dagli scranni di Montecitorio con Forza Italia a una latitanza semidorata a Dubai dopo una condanna definitiva in Cassazione per «concorso esterno in associazione mafiosa». Invece a finire in cella è stato proprio Scajola, indagato per procurata inosservanza di pena: un copione già visto, con un esponente del centrodestra - nonostante l'ex ministro non sia candidato - che finisce nei guai con la giustizia a pochi giorni dal voto. In manette sono finiti anche la madre di Matacena Raffaella De Carolis (ai domiciliari vista l'età) e Chiara Rizzo, la compagna di Matacena che a Scajola si era rivolta per garantire un esilio dorato al marito in Libano. I domiciliari sono stati disposti anche per la segretaria di Scajola, Roberta Sacco, per quella di Matacena Maria Grazia Fiordalisi e per i presunti prestanome dell'armatore Martino Politi (già in carcere per altri reati) e Antonio Chillemi (ai domiciliari).
Il «gancio» in Libano di Scajola era l'imprenditore calabrese Vincenzo Speziali, che grazie alla moglie libanese avrebbe avuto un dialogo diretto con il governo di Beirut anche tramite l'ex presidente libanese Amin Gemayel.
L'inchiesta nasce da una costola delle indagini sui fondi neri della Lega Nord: gli inquirenti hanno intercettato una telefonata tra Matacena e l'avvocato calabrese Bruno Mafrici, sodale dell'ex tesoriere leghista Francesco Belsito. I due si sarebbero incontrati nella casa dell'ex deputato azzurro al principato di Monaco, dove è residente, in Boulevard Princesse Charlotte (proprio di fronte all'appartamento monegasco di Gianfranco Fini che i lettori del Giornale conoscono bene). Da lì sono risaliti alla rete di rapporti tra l'ex ministro e la moglie di Matacena per evitare (o quantomeno complicare) l'estradizione di Matacena dal Dubai dopo la conferma della condanna. Secondo gli inquirenti dalle telefonate è chiaro che Scajola «era costantemente informato» degli spostamenti di Matacena e intanto «lavorava alacremente» affinché il suo patrimonio venisse occultato attraverso una complicata serie di operazioni finanziarie come una «fusione inversa» grazie a prestanomi, conti off-shore e «schermature» delle società tra la Liberia e il Lussemburgo (valgono circa 50 milioni di euro, la Procura ne ha chiesto il sequestro), uno dei più sofisticati modi di elusione delle norme in materia di prevenzione patrimoniale, come hanno ribadito gli inquirenti.
Sulla vicenda pesa l'ombra della 'ndrangheta, che avrebbe avuto interesse a tutelare gli interessi di Matacena: «Come può Scajola si è chiesto il procuratore capo di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho che all'interno dello Stato ha avuto responsabilità così significative, aiutare un condannato per associazione mafiosa a sottrarsi alla pena? Vogliamo capire se l'ex ministro ha agito con superficialità. Non esistono intoccabili, la legge è uguale per tutti».
L'ex premier Silvio Berlusconi si è detto «addolorato» per la vicenda. Giovanni Toti ha parlato di «giustizia a orologeria».
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