Ieri lo Studio RaiTv2 di via Teulada, a Roma, ha ospitato 100 parole e 100 mestieri per dire Rai, un incontro sul futuro della tv di Stato. L'idea è del «renziano» Luigi De Siervo, amministratore delegato di RaiCom. Per questo, l'evento è stato bollato come «la Leopolda della Rai». La nuova stagione politica potrebbe partire dunque dal mix di buone intenzioni, slogan, banalità, narcisismi andato in scena in diretta streaming.
Ore 10. Pronti, via. De Siervo introduce i lavori cercando di scrollarsi di dosso l'etichetta di «renziano». Prima critica «nel metodo» i tagli da 150 milioni di euro imposti dal premier, poi tende la mano al governo, ringraziando per aver assicurato alla Rai la nuova concessione per il servizio pubblico, in scadenza nei prossimi mesi.
Per quasi dieci ore, fino alle 19, si alternano sul palco creativi, filosofi, dirigenti, burocrati, pubblicitari, giornalisti, registi, musicisti, ex calciatori, scrittori, attori. Niente politici, niente sindacalisti. Dipendenti confinati in platea. Scenografia minimalista. Interventi di tre minuti. Velocità, modernità? Beh, insomma. Fin dai primi interventi sono citati una infinità di volte sia «il modello Bbc» sia il maestro Manzi, e si capisce subito che al centro del futuro troveremo il passato, la funzione pedagogica del piccolo schermo al massimo aggiornata al tempo del politicamente corretto. Ed è solo un caso che Renzi tempo fa abbia indicato come faro nella notte la tv del... maestro Manzi.
Al microfono si succedono, tra i molti altri, Andrea Camilleri, Marco Tardelli, Lucia Annunziata, Giovanni Floris, Corrado Formigli, Ivan Cotroneo, Marco Tullio Giordana, Pier Francesco Favino, Giuliano Montaldo, Gabriele Salvatores, Pif, Francesco Facchinetti, Massimo Gramellini, Antonio Pappano, Simona Ercolani, Francesco Piccolo, Gianni Minà, Veronica Pivetti, Dario Fo. Si chiude col direttore generale Luigi Gubitosi, che cita indovinate chi? Il maestro Manzi.
Fitta la pioggia di luoghi comuni: «Gli abbonati sono i veri padroni», «Puntare sull'innovazione», «Non sedersi sull'audience», «Le fiction si distinguono tra scritte bene e scritte male», «La diversità è una ricchezza», «Apriamoci alle esigenze del Paese», «I contenuti sono fondamentali», «Il nemico è l'autocensura», «Rispecchiare la complessità», «Dobbiamo raccontare l'Italia», «Più attenzione al cinema di qualità», «La Rai non deve badare all'Auditel», «La Rai ci ha insegnato la lingua italiana», «Puntiamo sulla meritocrazia». Si sprecano le definizioni di servizio pubblico, subito citatissima, forse perché ritenuta illuminante, quella di Andrea Camilleri in apertura: «Il servizio pubblico è come un autobus che raccoglie spettatori diversi». Qualcuno però scuote la testa e apre il dibattito: «Non è un autobus ma una limousine».
In mezzo all'orgia di frasi fatte dei vip, si fanno largo a fatica le proposte concrete, spesso in linea con i progetti di Matteo Renzi: un canale generalista senza spot, altri quattro tematici (news, bambini, sport, cultura) finanziati dalla pubblicità. Poche le mosche bianche. Ettore Bernabei propone l'abolizione del canone e una Rai parzialmente quotata in Borsa. Bruno Vespa punta il dito sulle pratiche da ministero che rallentano il lavoro. Pietrangelo Buttafuoco sottolinea le lacune culturali della Rai, che ha dimenticato una parte (sappiamo quale) dell'Italia.
A fronte degli annunci, dei sogni e dei convegni, la realtà è un po' deludente. I palinsesti autunnali, che saranno presentati domani a Milano, puntano su certezze e vecchie glorie, per il resto tiene banco il travaglio di Giovanni Floris, in fase di rinnovo di contratto.
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