Politica

Sorpresa: per l'Ikea ora la Cina siamo noi

Siamo più convenienti dell'Asia. E il colosso svedese farà produrre all'Italia mobili per un miliardo

Sorpresa: per l'Ikea ora la Cina siamo noi

Ikea trasloca dall’Asia all’Italia, per­chè i prodotti sono migliori e più conve­nienti. Uno spot pubblicitario inatteso ma sicuramente gradito per il settore del mobile italiano, che si prepara a dare il via alla grande kermesse dei Saloni, la vetrina più importante del mondo per il design. «Un riconoscimento della quali­tà del nostro prodotto in un momento in cui il mercato langue- commenta il pre­sidente di Federlegno, Roberto Snaide­ro - e che dimostra che si è vincenti an­che producendo dove si vende. L’Italia del mobile può giocare la sua carta mi­gliore, la tecnologia avanzata».

E la «delocalizzazione al contrario» non resterà un fatto isolato: «Ikea è alla ricerca continua di possibili sviluppi de­gli acquisti in Italia che punta ad incre­mentare », dice l’ad di Ikea Italia, Larss Petersson. Dimostrando con i fatti che l’articolo 18 non è un ostacolo: «Per noi non è un problema, ma lo è l’incertezza dei tempi della burocrazia e della politi­ca, perchè noi lavoriamo e cresciamo con le persone che lavorano con noi. Ab­biamo scelto l’Italia perchè abbiamo un’ottima esperienza con i fornitori e la loro qualità». Un riconoscimento che ha un valore anche maggiore, proprio per­chè viene dal grande «rivale», il colosso svedese che in tutto il mondo è simbolo dell’arredamento low-cost, e come tale viene spesso messo in contrapposizio­ne con l’eccellenza - inimitabile ma co­stosa - del made in Italy. In realtà Ikea nel nostro Paese compra più di quanto vende, e da un pezzo: in pratica, è il pri­mo cliente al mondo dell’arredo made in Italy, con un miliardo di euro di acqui­­sti, ripartiti fra 24 fornitori. A cui si sono aggiunte le due «new entry», entrambe piemontesi: un produttore di Verbania, storico distretto della rubinetteria, e un’azienda del Novarese che produce giocattoli.

Sono loro che hanno preso il posto dei fornitori asiatici, «grazie alla loro compe­tenza - dice Petersson - al loro impegno e alla capacità di produrre articoli di qua­lità migliore e più convenienti». Miglio­re e conveniente: due parole che sem­brano antitetiche, ma Ikea ha tre buoni motivi per pensarla diversamente.

Il primo si chiama logistica: la stra­grande maggioranza dei punti vendita con l’insegna giallo-blu è in Europa, e spostare i prodotti dal Sudest asiatico, col petrolio alle stelle, è troppo oneroso, nonchè contrario alla politica di atten­zi­one ambientale di cui il colosso svede­se ha fatto la sua bandiera. Il secondo è la qualità: prodotti migliori significano meno reclami, quindi un risparmio sicu­ro, oltre ai vantaggi a livello di immagi­ne.

Il terzo motivo è forse quello più inatte­so: produrre in Asia, e in generale nei Pa­esi emergenti, non è più così economico come una volta. I salari stanno crescen­do anche lì, e a ritmi vertiginosi: quelli italiani, invece, sono fermi. Il che non è una bella notizia, in generale: ma può trasformarsi in una carta vincente, in un contesto competitivo a livello globale co­me quello in cui si muovono le multina­zionali. Così, può accadere che un pro­duttore di rubinetti della Val d’Orta pre­senti un preventivo capace di battere quello del suo concorrente malese o ci­nese, come infatti è accaduto. E conti­nuerà sempre più ad accadere.

Anche perchè, se Ikea fa bene all’Ita­lia, con undicimila posti di lavoro tra pro­duzione, vendita e indotto, l’Italia fa be­ne all’Ikea: sapere che su tre cucine com­mercializzate dagli svedesi in tutto il mondo una è made in Italy ce le fa guar­dare con altri occhi.

Almeno a noi italia­ni. 

Commenti