Spending review, il percorso si complica Retromarcia su ospedali

Dopo le proteste delle Regioni pronta smentita del ministro della Salute Balduzzi: "Roma non imporrà la chiusura"

Spending review, il percorso si complica Retromarcia su ospedali

Roma «Nessuna chiusura degli ospedali sarà imposta da Roma». Parola del ministro della Salute, Renato Balduzzi. L’ipotesi che la spending review prevedesse il ta­glio di 30mila posti letto non è ri­masta in piedi neppure un giorno. Già ieri mattina i tagli ipotizzati erano scesi a 18mila e le strutture ospedaliere da cancellare si erano ristrette da quelle con meno di 120 a quelle con meno di 80 posti letto. Poi Balduzzi ha sgomberato il campo dai dubbi: nessuna imposi­zione, il che equivale a dire nessu­na chi­usura senza il sì dei diretti in­teressati, ovvero le Regioni, già schierate in difesa delle loro prero­gative.

Esito prevedibile anche perché, come spiega lo stesso mi­nistro che ieri ha incontrato le Re­gioni, sono queste ultime ad avere «piena responsabilità» in materia dunque questo punto esce dalla spending review anche se non tutti nel governo la pensano come Bal­duzzi. È il comparto sanità quello che in queste ore surriscalda i rapporti tra governo, parti sociali e addetti del settore. Nell’incontro con le Regioni tenuto ieri sera è stato pro­pr­io Balduzzi a confermare la pre­visione di 3 miliardi di tagli. Uno nel 2012 e due nel 2013. Si prose­guirebbe poi nel 2014 con un ulte­riore taglio di due miliardi.

Dove affonderà la lama? Si ipotizzava la riduzione dei posti letto per abi­tante dagli attuali 4,2 per mille a 3,7. Ovvero circa 20mila posti let­to in meno rispetto alla situazione attuale. Poi il risparmio sui beni e servizi, tagliati del 5 per cento per un risparmio di circa 1,7 miliardi. La revisione della spesa colpisce anche il settore farmaceutico ed infatti Federfarma e Farmindu­stria sono scese sul piede di guer­ra. I farmacisti attaccano la ridu­zione del tetto della spesa farma­ceutica territoriale dall’attuale 13,3 all’11,5 del 2013. Inevitabile, dice Federfarma, una spesa mag­giore a carico dei cittadini. Ancora più drammatico l’allarme lancia­to dalle industrie farmaceutiche. Il taglio di cinque miliardi in tre an­ni pesa anche su questa voce di spesa. Negli ultimi 5 anni le impre­se hanno subito tagli per 11 miliar­di complessivi a fronte di un rica­vo industriale di 12 miliardi an­nui. Se si va avanti così, avverte Farmindustria, «perderemo nei prossimi cinque anni circa 10mila posti di lavoro». Non solo. Il ri­schio più immediato riguarda i far­maci innovativi, ad esempio quel­li per le patologie oncologiche, che già ora vengono distribuiti in modo diverso a seconda delle Re­gioni.

Se si deve ancora tirare la cinghia sarà difficile garantire il ri­fornimento a tutti i cittadini che ne avranno bisogno. «Avremo cit­tadini di serie A che andranno in Svizzera a comprarsi i farmaci- di­ce il presidente di Massimo Scac­cabarozzi - e quelli di serie B che non se li potranno permettere». Farmindustria attacca definendo i provvedimenti «una tassa di sco­po » contro la farmaceutica ma an­che le misure annunciate per il pubblico impiego e le amministra­zioni locali hanno già provocato un’alzata di scudi. Tra gli altri ta­gli, che comunque dovranno esse­re confermati, un dieci per cento in meno per il personale delle for­ze armate, circa 18mila militari, ol­tre a una riduzione di 100 milioni di euro per le spese per gli arma­menti. Previsto pure uno sgrade­volissimo taglio di dieci milioni di euro già nel 2012 ai fondi destinati alle vittime dell’uranio impoveri­to. Anche l’università non resta in­denne dai tagli: previsti 200 milio­ni in meno per il fondo di finanzia­mento ordinario per gli Atenei.

Il premier difende le scelte del gover­no. «È venuto il momento di agire in modo strutturalmente più con­vincente sul settore pubblico che non vuol dire riduzione tranchant ma una riduzione della spesa do­po aver fatto un’analisi molto pre­cisa dei settori dove ci sono spre­chi », sostiene Mario Monti. Scelte che ai cittadini non piac­ciono affatto.

E se non fossero già abbastanza arrabbiati ci pensa Beppe Grillo a gettare benzina sul fuoco avvertendo che «il Paese si è rotto i coglioni» e dando degli inca­paci ai parlamentari soprattutto perché non impongono un tetto al­le pensioni d’oro mentre distrug­gono lo stato sociale.

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