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La speranza di Francesco e l'eredità di Pannella

"Ti voglio bene", scriveva Pannella a Papa Francesco dal suo letto d'ospedale, quando combatteva la sua ultima battaglia

La speranza di Francesco e l'eredità di Pannella
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Nella San Pietro che ha vissuto gli ultimi sospiri di Francesco, circolava un libretto. Era il messaggio del Papa per la 58ª Giornata mondiale per la pace, che ha aperto l'anno giubilare. «Rimetti a noi i nostri debiti, concedici la tua pace» le parole scelte da Francesco per il suo ultimo messaggio al mondo. Un testamento, direbbero in molti. Morale. Politico. Intellettuale. Quel libretto è ancora lì, ristampato e sempre in cima agli scaffali della Libreria Editrice Vaticana, a pochi passi dal cupolone. Lo continuano a sfogliare cardinali, pellegrini e curiosi, anche dopo l'insediamento di Leone XIV. Dentro c'è l'eredità di un papa. E tre proposte, rivolte ai potenti della Terra.

Primo: cancellare il debito del Sud del mondo, riconoscendo l'esistenza di un «debito ecologico» contratto nei secoli. Secondo: abolire la pena di morte, riaffermando la dignità della vita umana in una visione universalistica. Terzo: creare un fondo globale finanziato con parte delle spese militari per combattere la fame, investire in educazione e conoscenza, crescita sociale e sviluppo sostenibile. Non un appello ideologico al disarmo, ma un invito a ricostruire e ad abbattere le disuguaglianze: il vero nemico, per Francesco, del nostro tempo.

Sembra un manifesto di Marco Pannella, scritto trent'anni fa. Sono i suoi temi, oggi ripresi da una figura solo in apparenza distante per ruolo, linguaggio e tradizione. E invece, a ben guardare, così vicina. «Ti voglio bene», scriveva Pannella a Papa Francesco dal suo letto d'ospedale, quando combatteva la sua ultima battaglia. A unirli è stato un legame profondo, più forte delle etichette che li separavano: l'amore per la vita, per gli ultimi, per la speranza. Spes contra spem.

Pannella, che ha fatto del liberalismo una religione civile e delle libertà battaglie vissute sul proprio corpo, ha conosciuto la condanna di ogni liberale: vedersi riconosciute le proprie ragioni decenni dopo.

Parliamoci chiaro: le sue idee sono sempre state largamente minoritarie. La storia gli ha dato ragione. Il tempo, non le persone. Denunciava il potere delle procure ai tempi di Tortora, entrava in carcere a urlare per i diritti degli ultimi, parlava di riduzione del debito quando sembrava un'eresia e molto altro.

Trent'anni avanti, sempre. Per questo, sempre solo. Parlava di diritti, riscoprendoli inalienabili per ogni individuo proprio nel Vangelo, rivolgendosi a una società che non lo comprendeva. Eppure continuava, accompagnandola con il corpo maltrattato da scioperi e sigari. Oggi viviamo in un'Italia più laica e per questo più utile alla Chiesa, non più eurocentrica e chiamata a mantenere un rapporto con la contemporaneità.

Anche grazie a Francesco si parla di carceri disumane, di fame, di ricostruzione con parte dei fondi destinati al riarmo. Temi attuali, che erano di Pannella e già ripresi da Leone XIV.

L'ultimo messaggio di Francesco non è stato solo un atto pontificale: è una dichiarazione politica. È l'eredità di Pannella che riemerge, portata da una mano inattesa. Dopo la morte di Francesco si sono affollati, anche goffi, i tentativi di appropriarsi della sua eredità politica, da ogni parte.

Oggi il tema è quale eredità raccolga il suo successore, Prevost. Eppure, tra i tanti, forse il più vicino a Francesco era proprio Pannella. Il vecchio radicale.

Nel voler interpretare l'eredità di Francesco, pochi si accorgono che potrebbe essere già lì, sulle spalle di un uomo che non c'è più. Ma che a nove anni dalla scomparsa continua ad abitare questa nostra, arruffata società italiana.

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