RomaSe si correva il rischio che le tensioni sull'Iva fossero derubricate a propaganda, da ieri non c'è più. Difficile dare una lettura politicista delle vicende degli ultimi giorni, dopo che il commercio si è sollevato contro l'ipotesi di un aumento dal 21 al 22% dell'aliquota ordinaria e ha dedicato al governo di Enrico Letta la prima salva di fischi della sua breve storia. È capitato al ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato. Ospite all'assemblea di Confcommercio che si è tenuta ieri a Roma, sapeva di non potere evitare il tema, ma ha deciso di non sbilanciarsi. «Vorrei essere qua per dire che non la aumenteremo ma non è che non voglio, non lo non posso al momento fare». La platea di commercianti non l'ha presa bene e ha fischiato a lungo il ministro. «Dai, forza che continuo il mio intervento, spieghiamoci su queste cose». E la spiegazione è che vanno ancora trovate le coperture. «Dobbiamo trovare due miliardi tagliando spese o con nuove entrate». L'aumento «è una decisione che ha preso il governo precedente, ma se non abbiamo trovato una soluzione in 40 giorni...».
Segno che nel governo stanno prevalendo le tesi di chi sostiene non ci sia altra spesa pubblica da ridurre per evitare l'aumento dell'imposta su beni e consumi di luglio.
Ma il messaggio arrivato da Confcommercio è chiaro. Il presidente Carlo Sangalli ha spiegato che il governo deve «agire con tempestività e agire in profondità» contro la crisi. E deve partire proprio dal blocco dell'Iva, perché se scattasse l'aumento «sarebbe come gettare della benzina sul fuoco della recessione».
Chiaro il messaggio della prima confederazione del commercio e dei servizi, anche sulle ipotesi intermedie circolate in questi giorni. Ad esempio un rinvio a ottobre dell'aumento, un aumento selettivo dell'aliquota ordinaria o, ancora, il passaggio di alcune merci dalle aliquote agevolate a quella massima. «Occorre un approccio senza se e senza ma». Altrimenti si aggraverà una situazione che è già drammatica, con «consumi, crescita e occupazione che picchiano già al ribasso da ormai troppo tempo».
Confcommercio ha presentato un'indagine realizzata con il Cer sullo stato dell'economia italiana, dalla quale emerge che i consumi non sono mai andati così male nella storia della Repubblica. E che il potere d'acquisto degli italiani potrà tornare ai livelli pre crisi solo nel 2036. In questi anni ogni famiglia ha perso potere d'acquisto per oltre 3.400 euro. Nel primo trimestre di quest'anno, hanno chiuso i battenti più di 40mila imprese. Colpa della crisi, ma anche di un fisco che ne moltiplica gli effetti. Nel 2013 il numero di giorni di lavoro necessari per pagare tasse, imposte e contributi «raggiungerà il suo massimo storico, 162 giorni».
Lo stesso Zanonato ha affrontato in parte il problema, bocciando l'Imu sui capannoni. L'applicazione dell'Imu sui beni strumentali - ha detto il ministro è «paradossale». E su questo ha incassato un applauso.
Ma non sono solo le aziende a considerare il fisco come la principale leva per risollevare il paese. Ieri il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni ha dedicato l'apertura del congresso del suo sindacato ad un appello a favore della «madre di tutte le battaglie», la questione fiscale. «Bisogna ridurre le tasse sui redditi da lavoro e pensione. Ma anche alle imprese che investono e assumono i giovani e i disoccupati».
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