la storia

Un’odissea cominciata nel 2001 e non ancora finita. Carla credeva di avere trovato l’amore della sua vita. «Invece ho scoperto l’inferno». Milanese, 36 anni, l’ansia di un lavoro precario, ma nulla di così tragico. Fino al matrimonio con un ragazzo marocchino. «Ero delusa da precedenti relazioni, non volevo saperne di imbarcarmi in un’altra storia, ma poi ho incontrato lui». Ed è cominciata la vita insieme. «Il suo permesso di soggiorno era scaduto, anche per questo ho deciso che fosse giusto sposarci, per mettere tutto in regola e cominciare insieme una vita serena», racconta lei. Dopo tre mesi la bella notizia: Carla è incinta. «Ma lui si disinteressa della gravidanza, non mi accompagna alle visite, è spesso fuori casa. Durante una lite mi mette le mani addosso». Carla denuncia l’episodio, ma lui la convince a ritirare la denuncia. Di mezzo, ora, c’è anche un bimbo.
Poi però arriva il giorno più nero: «In casa piombano i carabinieri e lo portano via. Scopro che è accusato di spaccio e che la sua situazione è peggiore di quello che pensassi, perché è un pluripregiudicato. Ma io come facevo a saperlo? Il Comune, prima che mi sposassi, non avrebbe dovuto controllare i suoi documenti e avvisare la questura?». Così non è andata. Al contrario, il matrimonio, in questi casi, diventa una vera e propria sanatoria per il clandestino. Carla affronta la gravidanza col marito in carcere, si accolla da sola le spese del mutuo della casa, fino a che non nasce il bimbo. «Gli assistenti sociali mi dicono che lui in carcere è preoccupatissimo che io non dia il suo cognome al piccolo. Mi fa sapere che è pentito e mi ama tantissimo». E la convince. Così per il giovane clandestino è fatta: la nascita del bimbo gli garantisce la cittadinanza come padre di cittadino italiano. Lui torna a casa ai domiciliari. Ma comincia a bere, a vietarle di uscire: «Volevo portare mio figlio al parco, a prendere un po’ d’aria, e lui me lo impediva. Pretendeva che comprassi le sigarette per lui invece che i pannolini per il bimbo. Fino a che un giorno, imbottito di alcol, ha cominciato a prendermi a pugni davanti a mio figlio. Mi ha detto: se fino ad ora hai detto che ti picchiavo, adesso ti faccio vedere che vuol dire davvero. Mia madre era presente, ha cercato di aiutarmi. È stata picchiata anche lei».
Carla lo denuncia, chiede la separazione, va in una casa-famiglia. Lui torna in carcere, ma a distanza di qualche anno è fuori. «Ora la mia principale preoccupazione è mio figlio. Finora il mio ex marito ha potuto vederlo solo in territorio neutro. Le cose potrebbero cambiare e io sono molto preoccupata.

Temo anche che possa portarlo via». Pentita? «Sì, certo. Credevo che l’amore avrebbe potuto vincere le differenze. Lui invece è peggiorato dopo il matrimonio. E ora penso che mi abbia sposata e abbia riconosciuto il bimbo solo per la cittadinanza».

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