Monti respinge l’ultimo assalto dei sindacati ma non quello del Pd. Forse. Si vedrà nei prossimi giorni, quando il governo presenterà la sua riforma sul mercato del lavoro ma soprattutto svelerà il veicolo con il quale portarlo in Parlamento: decreto e legge delega? Tradotto: il testo sarà blindato o emendabile? L’arcano avrebbe dovuto sciogliersi oggi in Consiglio dei ministri ma in serata s’è deciso di rinviare l’approvazione del testo.Il nodo resta la modifica dell’articolo 18: inaccettabile per la Camusso, dramma per Bersani, ottima per la Marcegaglia, bandiera per il Pdl. Un vero ginepraio, insomma. Quello che è certo è che il premier, ieri sera presente all’ultimo summit con le parti sociali, non ha voluto cedere ai sindacati: il governo non torna indietro sui licenziamenti economici. Nella riforma non sarà prevista la possibilità di reintegro, sebbene per un momento una frase del premier, riportata da una twittata durante il vertice, faceva pensare a una retromarcia. «Saranno evitati abusi sul fronte dei licenziamenti», ha detto Monti alle parti sociali. Più preciso: «Sull’articolo 18 abbiamo percepito una diffusa preoccupazione - ha ammesso - su cui vorrei rassicurare tutti che il binario dei licenziamenti economici possa essere abusato con aspetti di discriminazione ». E ancora: «Il governo si impegna affinché questo rischio non si verifichi perché è nostro dovere evitare discriminazioni con un minimo di attenzione alla stesura. Su questo mi impegno». Ma da qui a fare un dietrofront e accogliere il cosiddetto modello tedesco auspicato dai sindacati ( il giudice decide se reintegro o indennizzo) ce ne corre. In sostanza: governo 1, Camusso 0.
Ma non è detto che il risultato resti invariato nel secondo tempo, quando la partita si giocherà con i partiti, ossia con il Pd. Il quale sta vivendo un vero e proprio psicodramma. Un pezzo di partito proprio non ce la fa a votare la riforma così com’è e prega in turco perché il testo possa essere discusso e modificato in Parlamento. Una vera e propria ciambella di salvataggio per Bersani, a un passo dallo sfascio del suo partito. Se Monti deciderà di accantonare lo strumento del decreto legge sarà anche grazie al faccia a faccia che il premier ha avuto ieri in mattinata con il capo dello Stato. Napolitano avrebbe sconsigliato un tale atto di forza, traducibile in un«prendere o lasciare».Ma Monti ha eccepito due esigenze irrinunciabili: i tempi della riforma; e i rischi di uno stravolgimento della sua riforma.Su quest’ultimo punto anche il Colle ha fatto capire che comprende bene le necessità di palazzo Chigi. Tanto che più volte ha mandato parecchi altolà alle posizioni troppo radicali della Camusso.
Sui tempi, invece, Monti ha potuto parlarne anche con il presidente dellaCamera, Fini, duranteunacolazione di lavoro a palazzo Chigi. Quellocheilpremiernonvuoleèvedere che una riforma così importante finisca nel pantano dei lavori parlamentari, con estenuanti discussioni e tira e molla infiniti. Presto, fare presto; questo il messaggio di Monti che non può apparire incagliatoagliocchidegliosservatoriinternazionali. Legge delega o decreto legislativo? La legge delega è lunga, forse troppo lunga, anche se ha il vantaggio che, una volta approvata, non trova ostacoli visto che le commissioni possono dare solo pareri non vincolanti.
Oppure un normale ddl, magari su una corsia preferenziale, su cui chiedere la fiducia. Sul tema il ministro Fornero ha glissato: «È prematuro dirlo. È una decisione che spetta a Monti ». Ma il problema è relativo alle modifiche. Il rischio è subire quello che Berlusconi lamentava sul ddl intercettazioni: «Ho presentato in Parlamento un disegno di leggecheerauncavallodirazza; dopo le mille modifiche ne è uscito un elefante...».
Ecco perché boatos di palazzo raccontano di trattative segrete per concordare alcune piccole modifiche al testo che uscirà nei prossimi giorni. E sugli statali «illicenziabili » la Fornero avvisa: «Non era in mio potere. Ma non vuol dire che non interverremo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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