Renzi resta a Firenze per non farsi divorare dal partito

Continuerà a fare il sindaco: la distanza da Roma lo rende politicamente più libero

Il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, lascia il suo ufficio a Palazzo Vecchio
Il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, lascia il suo ufficio a Palazzo Vecchio

Firenze - Lo blandiscono, lo incensano e lo controllano. Prima era il ragazzetto impudente, ora è il Matteo coraggioso. La manovra di avvicinamento del Partito democratico a Renzi dopo la sconfitta gloriosa alle primarie del centrosinistra ha inizio. «Anche nel partito comunista, quando volevano farti fuori, dicevano che eri una risorsa», ricorda uno stretto collaboratore del sindaco a palazzo Vecchio. Rosy Bindi definisce lo sfidante di Bersani e i suoi sostenitori «una forza viva del Pd». Una delle eminenze grigie della sinistra, Carlo de Benedetti, gli invia una mail pubblicata sul sito Huffington Post: «Le riconosco di aver fatto un ottimo lavoro. Non mancherò di farlo notare». Bersani gli chiede di «partecipare di più» alla vita politica e lo loda: «Ha risvegliato le energie».
Potrebbe essere un abbraccio letale, se non fosse che il rottamatore che ha già fatto a pezzi mezzo partito il suo antidoto l'ha soffiato alla Fortezza da Basso, al termine del suo emozionante grazie ai collaboratori dopo la sconfitta: «Noi abbiamo entusiasmo, abbiamo tempo e abbiamo libertà». Quel discorso da perdente in piedi sul filo delle lacrime era stato preparato per tutto il pomeriggio, scritto e corretto. E con quelle ultime tre parole il Matteo-Davide contro il Golia-partito ha lanciato la sua guerra più sottile. Non la rottamazione, ma lo scudo anti-apparato. Nessuno mi controllerà. E l'avvertimento: c'è tempo, come dice la canzone di Fossati. Quello di Renzi potrebbe arrivare più presto del previsto. Ma sempre con lealtà, ripromette anche il giorno dopo: «Non abbiamo intenzione di fondare una correntina, anche se abbiamo il 40% dei consensi», scrive su internet ai suoi sostenitori. Chi ha vinto «rappresenti ora gli altri senza inciucio o impiccio».
Il sindaco torna nel suo ufficio di primo mattino, felpa di pile e viso più stanco del solito. A piazza della Signoria cerca di evitare i giornalisti, poi, all'uscita, li abbraccia con un «vi voglio bene». Non fa niente a caso, Renzi. Non è un istintivo. Ha deciso di stare nell'ombra per un po'. Basta sovraesposizione. Nel pomeriggio salta il consiglio comunale, anche se in Comune garantiscono che «si è rimesso sotto». A Firenze le locandine delle edicole sono tutte per lui, ma c'è anche un risentimento verso il giovane sindaco che ha preferito il camper alla città. «Torni a fare il suo lavoro - si agita una tassista - 'un si può svegliare una mattina e dire che vol fare la tramvia come un bambino e poi la tramvia 'un si fa». L'ala bersaniana del Pd a palazzo Vecchio sottolinea come è «da tre mesi che non viene in consiglio».
Eppure Renzi torna davvero alla sua Firenze. La distanza lo rende più libero.

L'entusiasmo è un patrimonio vivo, e se ai comitati di Firenze e Roma ieri le luci erano spente, su Twitter gli spiritelli renziani imperversano: «Signori che venite a chiederci di fare una lista per le politiche - scrive il deputato Andrea Sarubbi - la nostra lista c'è già: si chiama Pd». C'è da chiedersi quanti non voteranno il partito perché Matteo ha perso. «Se avessi vinto ci sarebbe stata un'altra storia», gli scrivono su Facebook (più di ventimila ieri). Ma: «non ci si può fermare».

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