Suicida Fakhra, simbolo delle donne offese

Suicida Fakhra, simbolo delle donne offese

Ha lottato per anni, mesi. Ma quello che le faceva più male non erano tanto le ferite riportate per un volto cancellato dall’acido, quanto l’idea che la vecchia lei non sarebbe mai più tornata. Non sono bastati i 39 interventi di ricostruzione plastica, l’assistenza psicologica costante. Sabato scorso Fakhra Younas si è arresa e si è suicidata lanciandosi dal sesto piano di una palazzina nel quartiere di Tor Pagnotta, a Roma. Lei, la donna che era riuscita a fuggire dal Pakistan, dal marito che una notte nel sonno le aveva buttato l’acido addosso facendole sciogliere il volto, icona dell’emancipazione femminile nel mondo islamico, ha aperto la finestra e si è lanciata nel vuoto. Fakhra e il suo bellissimo volto sfregiato. Fakhra e le violenze subite per anni. Una vita difficile fin da ragazzina, da quando la madre faceva la prostituta, lei danzatrice a Karachi, affascinante, occhi verdi, magnetici. L’aveva notata il figlio di un potentissimo politico della zona. Lei si era fidata, si era innamorata e sposata. Poi la gelosia, le torture, le sevizie. Il marito che diventa un mostro. A soli vent’anni ha il coraggio di ribellarsi, di fuggire da quella casa prigione. Fakhra sfida le convenzioni, va a vivere da sola, con sè solo il figlioletto che oggi ha diciassette anni. Scatta la vendetta dell’uomo che non può tollerare l’affronto di una moglie che decide di mettere fine all’unione. La punizione è la più barbara e meschina. Nel sonno le getta in faccia dell’acido. Lei una vita distrutta, lui sei mesi di carcere. Quando arrivò a Roma undici anni fa Fakhra venne sottoposta a 39 interventi. Trentanove. «Quando è arrivata da me aveva il labbro attaccato al torace. Il volto era stato completamente cancellato. Sciolto», spiega il professor Valerio Cervelli il chirurgo plastico che l’ha operata e l’ha sempre seguita. «In tutti questi anni io e il mio team abbiamo cercato di darle tutto il nostro affetto. Fakhra era una donna annientata. Cancellata. Da un certo punto di vista ricostruire il volto era il compito meno difficile. La vera sfida era ricostruire il suo essere interiore». Curarle le ferite che non si possono guarire con la chirurgia. «Tutti noi- spiega Cervelli - l’abbiamo seguita come una figlia, io, gli psicologi, abbiamo cercato di darle tutto il nostro appoggio. Quando ho saputo che era morta ho pianto. Dieci giorni fa l’ho sentita al telefono. Mi era sembrata serena, insomma nulla lasciava presagire quello che sarebbe successo». Nel 2005 Fakhra aveva scelto di raccontare la sua storia al mondo e scrisse «Il volto cancellato», tradotto in molte lingue. Eppure quelle atroci, orrende ferite interiori non si rimarginarono mai: tentò tre volte il suicidio e tre volte fu salvata. Sabato scorso ce l’ha fatta. «Fakhra - racconta Elena Doni, giornalista coautrice del libro - non era riuscita ad inserirsi. Da bellissima ballerina con una vita prestigiosa, e con un tenore di vita altissimo, si era ritrovata prigioniera nella casa del marito. Mi raccontava le giornate passate rinchiusa in casa dove l’unica concessione era poter passeggiare in giardino. Poi la scelta di andare via e l’affronto punito con l’acido. I numerosi interventi le hanno ridato la gioia di poter tornare a guardare il figlio negli occhi, ma tutto questo non è bastato».
«Era una donna straordinaria, dice il professor Cervelli. Aveva reagito bene, voleva farcela e ce la metteva tutta. Eppure si portava sempre dietro quel senso di acredine, si sentiva in credito con la vita.

E forse Fakhra non è riuscita a superare la sfida più grande: sentirsi protetta. Non doveva mai essere lasciata sola, si sentiva abbandonata. Aveva dei sussidi, ma forse, quello che le mancava davvero era un lavoro. Per tornare a sentirsi importante»

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