«Sul decreto sviluppo ci metto la faccia Dimettermi? Macché»

«Sul decreto sviluppo ci metto la faccia Dimettermi? Macché»

nostro inviato

a Santa Margherita Ligure (Ge)

Bisogna dare atto al ministro Corrado Passera di avercela messa tutta. Si toglie la giacca, impugna appunti, parla velocemente, si sbraccia, spiega, promette, fino al solenne: «Faremo il decreto sviluppo, ci metto la faccia». E dopo la faccia, azzarda una scommessa: «Tutti i Paesi dell’euro rimarranno nell’euro». Il compito che gli è affidato è impegnativo, convincere i giovani industriali (e attraverso di loro i «vecchi», compreso il presidente Giorgio Squinzi che ascolta sornione in videoconferenza) che il governo non pensa solo alle tasse.
Ma l’impresa è disperata. Perché ai confindustriali rimane una sola garanzia per le misure a favore della crescita e dello sviluppo: la faccia di Passera. I soldi non ci sono. Devono essere trovati. In che modo? Il ministro elenca tre strade, e a ogni passo gli sguardi degli imprenditori si fanno sempre più increduli. Primo: «Prenderemo risorse dalla spending review». Siccome è fatta di giovani ex bocconiani, non c’è bisogno di spiegare alla platea l’espressione inglese. Sarebbero i tagli alle spese della pubblica amministrazione. E dove si taglia? «Abbiamo cinquemila entità pubbliche parapolitiche in Italia, che costano e che dobbiamo affrontare. Le raccoglieremo a grappoli ed elimineremo quelle non necessarie. Abbiamo ottomila anagrafi diverse, le porteremo in un cloud». Cioè su una memoria unica virtuale. Ma è possibile? Quanto tempo ci vorrà? E quanto si risparmia? Mistero.
Secondo cespite: il recupero dell’evasione fiscale. Qui basta la parola, non è necessario approfondire: «Gli onesti che pagano le tasse, pagano troppo». Ma bisognerebbe ricordare al ministro dello Sviluppo che pochi giorni fa il governo ha ammesso di avere sbagliato (per difetto) le previsioni sul recupero dell’evasione. Terzo: «Valorizzazione dell’enorme patrimonio pubblico». Crediti, immobili, fondi, partecipazioni. Nemmeno in questo caso gli annunci sono accompagnati da stime, effetti, scadenze. Soltanto un’ammissione: «Ci vuole più tempo di quello che ha un governo come il nostro». Per il momento, Passera si affida allo stellone: «Dovete fare molta pressione - dice ai giovani di Confindustria - perché il governo faccia veloce e possa superare le resistenze. Si devono toccare grandissimi interessi e lo faremo con la stessa energia con cui abbiamo riformato le pensioni. Tutti i progetti su cui sto lavorando andranno in porto entro l’estate».
Insomma, il decreto sviluppo è un grande libro dei sogni. Che si scontra con la rigidità della Ragioneria dello stato e con il viceministro Vittorio Grilli, il guardiano dei conti, il quale venerdì sempre al convegno di Santa Margherita Ligure aveva detto che il bilancio non si tocca. Sia Grilli sia Passera si sono affannati a smentire dissapori interni al governo. Ieri il titolare dello Sviluppo ai giornalisti che gli domandavano di ipotetiche dimissioni ha risposto: «Neanche a parlarne». E poi: «Non c’è contrapposizione personale tra ministri, ma un grande sforzo e una grande determinazione a trovare insieme le risorse necessarie. Tutti i ministri hanno collaborato» anche se «con qualche divergenza di opinione».
Passera ripercorre sette mesi di governo: «Abbiamo passato una fase rischiosissima, era quasi dato per scontato che saremmo scivolati come la Grecia. Con l’opera congiunta di governo, Parlamento e parti sociali abbiamo approvato un numero di provvedimenti importantissimi mentre eravamo sull’orlo del commissariamento. E ora siamo qui a parlare di programmi di sviluppo». Ma le cose non sono migliorate di molto: «La situazione non è più emergenziale ma resta sicuramente molto critica, si è accumulato un affaticamento, dieci anni di difficoltà e due recessioni che si sono infilate l’una sull’altra». E da ultimo il terremoto in Emilia.
Il governo sta dunque facendo «tutto quello che si è proposto di fare», almeno secondo Passera. Sono altre le preoccupazioni del ministro, non i soldi che mancano o le divergenze tra ministri. Una è la politica: «Dobbiamo lavorare con tutti, imprenditori e parti sociali. E il governo senza Parlamento non può fare nulla».

Il Parlamento: cioè i partiti, la maggioranza Pdl-Pdl-Udc, la politica. L’altra è l’Europa e soprattutto la cancelliera Merkel: «Tutti abbiamo capito che separatamente nessuno si salva. E anche la Germania deve avere il coraggio di dirlo ai propri cittadini».

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