Neanche Massimiliano Allegri e Filippo Inzaghi se ne sono dette tante quante Sergio Marchionne e Diego Della Valle. Nemmeno nel muscolare mondo del calcio si assiste a violenze verbali come quelle che sembrano aver conquistato il parterre de roi della grande finanza. Eppure una stretta di mano, ancorché formale e pure un po' ipocrita, avrebbe molto più significato in Piazza Affari che a Milanello. Ma tant'è: a dieci giorni di distanza dal primo attacco di Mr Tod's all'ad del Lingotto e alla famiglia Agnelli siamo qui a sentirne ancora di tutti i colori. Dall'una come dall'altra parte.
Sarebbe come se, per esempio, negli Usa, uno come l'inventore della Microsoft, Bill Gates, un bel giorno si svegliasse accusando un editore tipo Rupert Murdoch di agire da bugiardo ricattatore; e questi gli rinfacciasse di essere un subdolo monopolista. Sarebbe uno spettacolo sicuramente di grande impatto, ma ridicolo come lo è questo tra un imprenditore che vale 1,5 miliardi di patrimonio personale e un manager che nel 2011 ha guadagnato 17 milioni di euro alla guida del primo gruppo industriale privato del Paese. Gli ultimi strali hanno riguardato «le mani nella marmellata» nelle quali - secondo Della Valle - è stata trovata la Fiat che voleva lasciare l'Italia, a cui Marchionne ha risposto di smettere «di rompere le scatole», perché «con quanto lui investe in un anno in ricerca e sviluppo, noi non ci facciamo nemmeno una parte di un parafango».
Il punto è che il tutto avviene sulla pelle dei lavoratori Fiat in cassa integrazione, senza portare nulla di costruttivo sul tavolo della crisi dell'auto. E non solo: certi toni e linguaggi non dovrebbero appartenere alla classe dirigente, tanto più sui mezzi d'informazione. Non si tratta di ipocrisia, ma di un reale danno a un Paese alla disperata ricerca di investimenti esteri e di fiducia, come Marchionne sa molto bene, visto che ancora ieri ha ricordato come non riesca a trovare un partner per l'Italia da più di otto anni.
Scomposti anche i toni con cui Marchionne ha ieri apostrofato un altro soggetto: la Consob, che con le sue richieste di comunicazioni al mercato avrebbe portato il Lingotto «all'esasperazione».
Non c'è bisogno di sottolineare che anche in questo caso i toni ci sembrano sbagliati. La Consob è l'authority del mercato azionario e, come ha ieri ricordato educatamente, non fa che il proprio lavoro a tutela della trasparenza delle informazioni. Non sembra opportuno che il ceo della Fiat miri a delegittimarne, anche qui di fronte agli investitori esteri, l'attività di vigilanza. Difficile immaginare lo stesso Marchionne, nelle vesti di numero uno di Chrysler, attaccare allo stesso modo gli sceriffi della Sec.
Non è un solo problema tra borsette e motori quindi. E bisogna solo sperare che non diventi anche un tema di ordine di pubblico.
Non è un'esagerazione, ma oggi si gioca Fiorentina-Juventus, di nuovo Della Valle contro Agnelli: lo sgarbo di Berbatov di questa estate (il giocatore bulgaro che interessava ai viola fu intercettato dai dirigenti bianconeri per un tentativo di blitz) è stata solo l'ultima di una serie infinita di dispetti e rivalità che, se amplificati, rischiano di trasformarsi in violenza vera, non solo verbale.
Non a
caso la Juve ha deciso di non mandare il suo allenatore squalificato, Antonio Conte, allo stadio. Dove agiscono gli ultrà. Ecco: lasciamo che questi vadano allo stadio. E non facciano proseliti tra i big di Piazza Affari.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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