Milano - Un processo normale: in cui non si parla più di impegni parlamentari, di scontri tra istituzioni dello Stato, di persecuzioni vere o presunte. E si torna a parlare di reati e di prove. È questa l'ultima trincea di Silvio Berlusconi per non uscire devastato dalla vicenda processuale dei diritti tv. La scelta di farsi difendere da Franco Coppi, luminare del diritto penale, non sospettabile di affinità culturale o ideologica, vuol dire esattamente questo. Nella trincea decisiva, Berlusconi si affida ad una difesa tecnica. E punta ad appoggiarsi su un dato che considera incontrovertibile: la stessa Cassazione che oggi ha in mano il suo destino, già per due volte si è espressa nei processi a suo carico per l'acquisto da parte dei diritti dei film americani da trasmettere in tv. E tutte e due le volte lo ha assolto con formula piena. Se stavolta, di fronte al terzo e cruciale processo, la Cassazione si rimangiasse quanto essa stessa ha deciso, per Berlusconi sarebbe la prova provata di quanto sostiene da tempo, e cioè che il complotto ai suoi danni coinvolge l'intera magistratura. Ma sarebbe una magra soddisfazione.
Il ricorso in Cassazione è stato depositato ieri, poco prima che la Corte Costituzionale si esprimesse sul conflitto di attribuzioni che poteva azzerare il processo. Invece il processo va avanti, nei suoi binari ordinari. Il 23 maggio scorso, a tempo di record (quindici giorni, anziché i consueti 90) il giudice Enrico Scarlini aveva depositato le motivazioni della sentenza d'appello che confermava integralmente la condanna di Berlusconi a quattro anni di carcere e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici. Ieri ecco il ricorso in Cassazione, firmato da Coppi insieme a Niccolò Ghedini. Un ricorso tutto in punto di diritto, che affronta puntigliosamente le questioni su cui i giudici d'appello avrebbero glissato, e che per i difensori costituiscono altrettanti ostacoli alla conferma della condanna.
Ma il vero tema del processo, quello che - verosimilmente intorno a ottobre - dovrà essere sciolto dalla Cassazione, sta tutto in due domande. La cresta sui costi dei film era finalizzata a fregare il fisco, o ad arricchire manager infedeli e fornitori? E, qualunque sia la risposta, cosa dimostra il ruolo diretto di Berlusconi in fatti avvenuti quando in azienda non aveva più ruoli operativi? La sentenza d'appello che ha condannato Berlusconi sostiene, sulla base di una sorta di prova logica, che il controllo del Cavaliere sulle vicende aziendali «è proseguito nonostante i ruoli pubblici assunti e condotto in posizioni di assoluto vertice». Ma è proprio su questo assunto che si giocherà la partita decisiva.
Dalla loro parte, Ghedini e Coppi hanno due sentenze della Cassazione in altrettanti processi assai simili a carico di Berlusconi. Il 18 maggio 2012 la seconda sezione penale della Cassazione confermò il proscioglimento con formula piena dell'ex premier dall'accusa di frode fiscale disposto dal giudice preliminare di Milano Maria Vicidomini nel cosiddetto processo Mediatrade. «Non è dato - aveva scritto il gip - trarre elementi di prova circa comportamenti, direttive o anche semplici influenze di Silvio Berlusconi sulla attività di compravendita dei diritti televisivi».
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