Roma - Renzi va avanti come un panzer e decurta 150 milioni di euro dal bilancio della Rai. La Cgil di Susanna Camusso e la Uil di Luigi Angeletti provano a opporsi, combattendo una battaglia retroguardia, sostenendo lo sciopero dei dipendenti di Viale Mazzini, che persino il Garante ha bocciato. Alla fine, l'Usigrai - il potente sindacato interno dei giornalisti - si «accontenta» del salvataggio delle sedi regionali, dei tempi certi per la ridefinizione del contratto di servizio e annuncia che le valutazioni sulla sospensione della protesta sono «in corso». Ma la Cgil spiazza tutti e proclama che la battaglia continua, perdendo per strada la Cisl.
È la cronaca della solita giornata di ordinaria follia che si scatena ogniqualvolta a essere messi in ballo sono i «privilegi» della casta che guida la televisione pubblica. Ieri mattina sono scesi in campo anche i sindacati, anche se in ordine sparso. Il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, si è infatti smarcato dal consueto asse con Corso Italia e Via Lucullo inviando, in sua rappresentanza, la Fistel, la federazione cislina delle tlc. A difendere la tv pubblica sono così rimasti in due. «Insistiamo. È grave sostenere che lo sciopero è umiliante», ha esordito Susanna Camusso attaccando Renzi che aveva stigmatizzato l'arroccamento dei dipendenti Rai. «Se cambiano le cose, siamo pronti a discutere, ma si deve aprire un confronto perché questo dl mette a rischio la Rai», ha aggiunto.
Ancor più duro il segretario della Uil, Luigi Angeletti, che per una volta ha rinunciato alla sua tradizionale sobrietà. «Il governo chiede una tangente obbligando la Rai ad un contributo di 150 milioni di euro; è un pizzo all'azienda», ha detto sostenendo che «il premier è il peggior amministratore che abbiamo mai avuto: non è che siccome ha preso voti tutti devono stare zitti». Mentre tutti inveivano e Raffaele Bonanni invitava le parti in causa a sedersi a un tavolo, il Garante degli scioperi serviva a Renzi un pallone da spingere in rete. Lo sciopero Rai dell'11 giugno è «non conforme alla legge» e a rischio di sanzioni, perché «non rispetta la regola dell'intervallo di dieci giorni tra due scioperi nello stesso settore» e i sindacati di base ne avevano indetto, in precedenza, uno per il 19 giugno.
A Palazzo Madama, intanto, la maggioranza procedeva come un treno. Con un emendamento dei relatori al decreto Irpef il governo ha cercato di salvare capra (il taglio dei 150 milioni necessari a garantire il bonus da 80 euro) e cavoli (il consenso delle maestranze intellettuali). In pratica, è stato garantito il servizio di «informazione pubblica a livello nazionale e regionale attraverso la presenza in ciascuna regione e provincia autonoma di strutture adeguate». Contestualmente, si è aperta la strada alla cessione di quote di RaiWay (la società che gestisce le torri di trasmissione) e alla cancellazione di Raiworld che si occupa della trasmissione dei programmi all'estero.
Salvando le sedi regionali e i loro dipendenti (un altro emendamento ha bloccati pure i tagli aggiuntivi previsti dal dl Irpef), Renzi ha chiuso la polemica su un fronte interno già poco propenso allo scontro frontale. In Rai, infatti, da tempo si fa infatti a gara per dichiararsi «renziani» ante-Palazzo Chigi.
A fine pomeriggio sulle barricate era rimasta la Cgil con la Uil. Lo sciopero è stato confermato con una lettera al garante nella quale si sostiene che la Usb è troppo poco rappresentativa per creare disagi. La Cisl non ha firmato, preferisce il dialogo ed evitare di essere associata a «contratti e consulenze milionarie». Con Camusso e Angeletti anche l'Eurovisione.
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