RomaPerdita di consensi, immobilismo, forte tensione interna e, per ultimo, il j'accuse della Santanchè. Chiediamo all'ex ministro Giancarlo Galan la sua opinione sul difficile momento del Pdl.
È possibile uscire da questa crisi?
«Sicuramente. E per prima cosa bisogna ammetterla. E parlarne. Accettando il confronto invece di stigmatizzarlo».
È stata lunga l'incubazione di questa crisi o è frutto delle ultime vicende politiche?
«Credo risalga al 2010. In buona sostanza alle elezioni regionali che abbiamo vinto ma che dovevamo stravincere. Anche all'ultima tornata, poi, di questa primavera era ben evidente il collasso. Era tutto un fiorire di sigle che si distinguevano dal Pdl. Perché non si è fermata subito questa deriva?».
Quindi ha ragione la Santanchè a chiedere un passo indietro ai vertici di questo Pdl?
«Sicuramente negli argomenti. Sui toni e i modi se ne può discutere. Una cosa è certa, però, in questo partito a essere vietato è proprio il diritto alla critica».
Addirittura!
«A me hanno riservato lo stesso trattamento quando da presidente di Regione mi permettevo di obiettare sulla cura Tremonti».
Oltre alla Santanchè chi sono i frondisti che vorrebbero un radicale cambiamento del partito?
«Non mi faccia fare i nomi. Non voglio metterli in difficoltà. Anche se fra qualche giorno verranno fuori da soli. Comunque sono tanti. Soprattutto tra gli amministratori locali. L'altro giorno ero a cena con una quindicina di sindaci della mia regione. Sono letteralmente avvelenati. D'altronde non potrebbe essere altrimenti. Se un partito perde in due anni un terzo dei consensi deve rimettersi totalmente in gioco».
Quindi l'accusa di immobilismo è concreta.
«Assolutamente. Le sole novità di questo periodo sono l'introduzione delle tessere e i congressi territoriali. Come il peggio della vecchia Dc!»
Ma come! Non è un esempio di democrazia interna?
«Ma va là! La verità è che bisogna tornare allo spirito del '94. Anzi, sa cosa le dico? Bisogna tornare allo spirito del 2013. Perché quella irripetibile stagione è già molto lontana. E i diciottenni che domani affronteranno il loro primo voto allora non erano nemmeno nati».
E qual è la sua ricetta?
«Serve un partito che includa e non escluda».
Anche sul piano delle alleanze e dei programmi elettorali?
«Basta con le faziosità e i distinguo. Volente o nolente il nostro è un sistema maggioritario e quindi bisogna pensare alle alleanza in maniera costruttiva. Coinvolgendo Fini e Casini, che in questi anni abbiamo perso per strada».
E per quanto riguarda la Lega?
«Lì è diverso. Il caso Lombardia è paradossale. Solo sei mesi fa hanno negato qualsiasi tipo di alleanza elettorali e adesso vogliono addirittura candidarsi alla guida della Lombardia? Sono assolutamente contrario! Ed è per questo che sono sceso in campo accanto ad Albertini».
Insomma la sua tanto amata rivoluzione liberale è ancora possibile?
«Certo! I problemi sono ancora quelli del '94 e bisogna convincere gli elettori battendo sui grandi temi liberali: meno tasse, meno Stato e più libertà».
Ottimista o pessimista?
«Non sono ottimista ma non mi sento battuto. Anche perché in Italia la sinistra non ha la maggioranza dei consensi e quando ha governato lo ha sempre fatto per vittorie elettorali al fotofinish e alleanze vincenti. Il problema semmai è con quale sistema si andrà al voto».
Perché?
«Perché è sbagliato credere che un sistema che ripristini le preferenze serva a rispettare il volere degli elettori. È un metodo ancor più ipocrita perché illude l'elettore di aver operato una scelta».
Come insegna il caso Fiorito.
«Ma quale caso Fiorito! Le posso portare esempi ben più calzanti di come quel sistema basato sulle preferenze possa tranquillamente essere manipolato».
La ascolto.
«Le faccio l'esempio del mio avversario alle Regionali del 2005: Massimo Carraro.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.