S e nei programmi presentati da Bersani e Renzi l'economia avesse tanto spazio quanto quello che i due stanno occupando nei media ci sarebbero volumi da leggere, invece al netto delle parole la sostanza è incredibilmente scarna. Può essere che sia pretattica, tuttavia le sfide che ci si attendono sono formidabili e ignorarle significa invalidare alla radice qualsiasi ragionamento o programma.
Al netto dell'onnipresente lotta all'evasione fiscale (come se dal 2004 a questa parte, data della riforma delle esattorie, si stesse scherzando) ha un bel dire Bersani quando preannuncia che «se servirà» occorrerà chiedere risorse «a chi ha di più» e fa quasi sorridere Renzi quando, per rassicurare l'elettore del ceto medio, ricorda che lui ha ridotto l'Irpef dallo 0,3% allo 0,2% (anche se Davide Serra propone di alzare al 30% le tasse sui risparmi). Altro che zero virgola, altro che andare a spremere ancora i possessori di beni regolarmente dichiarati, qui si sta parlando di 50 miliardi all'anno (di più se dovesse proseguire la recessione) richiesti dall'accordo fiscal compact e che devono essere trovati in qualche modo. Per capirci: il gettito della prima rata dell'Imu è stato di 9,5 miliardi ed è stato in gran parte vanificato dalla recessione.
Non è credibile pensare di aggiungere nuove tasse, nemmeno nella versione «patrimoniale da assalto al forno» di Bersani, visto che la pressione fiscale (anche contando l'evasione) punta ad un insostenibile 50% e la recessione sarebbe maggiore del gettito, come è capitato con la tassa sulla nautica. Rimangono quindi i tagli. Dove pensano di tagliare 50 miliardi all'anno? Visto che le grandi voci di spesa primaria sono tre: pensioni, stipendi degli statali e sanità, tradizionalmente cresciute proprio grazie alla compiacenza della sinistra, non sarebbe male avere un dettaglio di chi, nel bacino elettorale del Pd, dovrà pagare l'europeismo ad ogni costo di Bersani e Renzi.
Di certo la soluzione non sarà la chimera della vendita dei beni pubblici: chi sta provando in questi giorni a vendere una casa lo sa bene, mentre svendere le aziende profittevoli come l'Eni sarebbe un suicidio. Anche la parte del costo del lavoro è irrisolta: la Bce, con messaggi precisi, domanda molto esplicitamente una pesante riduzione dei salari per «recuperare competitività nei confronti della Germania» nonostante una lunga lista di economisti ammonisca che la deflazione salariale in recessione non funziona. Anche facendo finta di non aver sentito la promessa di Renzi dei «cento euro al mese in più in busta paga» che va esattamente nella direzione contraria a quanto ci viene chiesto e che quindi non passerà mai, come pensano di risolvere i due candidati la questione dell'adeguamento competitivo verso il basso dei salari che, in mancanza di svalutazione, saremo obbligati a fare? Pensano forse di introdurre i minijob da 400 euro al mese alla tedesca? Basta saperlo. Ignorare la questione può essere utile come tattica elettorale ma non è onesto nei confronti dei cittadini.
Un altro capitolo senza risposte convincenti è quello legato ai rapporti economici con l'Europa: con la faciloneria che ci è propria tutti pensano di poter rinegoziare trattati, magari sperando nella vittoria dell'Spd in Germania, come se un colore di governo diverso spingesse per magia i tedeschi ad essere generosi con noi per solidarietà di partito. Con i se non si governa.
In ogni scenario occorrono idee radicali e pervasive, con gli zero virgola, con lenzuolate e svendite di fine stagione nel menù europeo non ci pagheremo nemmeno il coperto.
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