RomaI numeri non tranquillizzano i fan della grazia a Silvio Berlusconi: Giorgio Napolitano è il presidente della Repubblica più restio a ricorrere a questo istituto controverso e vagamente monarchico. Soltanto 23 le grazie concesse a fronte di 2.688 richieste, con una percentuale dello 0,88. E pensare che i primi sette munifici presidenti, fino a Francesco Cossiga, hanno firmato ben 41.840 grazie, con il picco di 15.578 del primo, Luigi Einaudi. Le maglie si strinsero con Oscar Luigi Scalfaro (339) e Carlo Azeglio Ciampi (72).
Se il progressivo ridursi del numero dei graziati è sostanzialmente la conseguenza dell'introduzione di nuovi benefici penitenziari e di misure alternative alla detenzione, il contagocce usato da Napolitano è figlio della sentenza della Corte Costituzionale 200 del 2006, a cui Re Giorgio si è sempre attenuto. Erano i giorni della querelle tra Ciampi, che voleva liberare Ovidio Bompressi, l'ex militante di Lotta Continua condannato in via definitiva per l'omicidio del commissario Luigi Calabresi nel 1972, e l'allora ministro di Grazia e Giustizia Roberto Castelli, che si rifiutava di controfirmare l'atto; e la Consulta dette ragione al capo dello Stato, conferendo una volta per tutte a questi l'unica titolarità del diritto di grazia, fino ad allora in bilico tra inquilino del Quirinale e Guardasigilli. Il capo dello Stato, spiegò la Consulta, rappresenta l'unità nazionale ed è fondamentalmente estraneo al «circuito dell'indirizzo politico-governativo». E la grazia non è gesto con valenza politica ma essenzialmente umanitaria, ciò che non fa ben sperare riguardo alla sua concessione a Silvio Berlusconi. Così come sembrerebbe allontanarla il fatto che, secondo la dottrina della sentenza 200, totem di Napolitano, la grazia non viene mai concessa a breve distanza dalla sentenza definitiva di condanna, visto che così sarebbe «un ulteriore grado di giudizio che non esiste nell'ordinamento e determinando un evidente pericolo di conflitto tra poteri».
Insomma, la grazia Napolitano-style è un sentiero stretto e tortuoso, contrariamente al passato, quando è stata concessa a personaggi spesso discutibili. Come Graziano Mesina, il più famoso bandito sardo del dopoguerra, graziato nel 2004 da Ciampi dopo oltre 40 anni di carcere e arrestato lo scorso giugno perché sospettato di essere a capo di un'organizzazione criminosa dedita a furti e traffico di stupefacenti. O come Rina Fort, che nel 1946 uccise a Milano la moglie e i tre figli del suo amante: fu graziata da Leone nel 1975 dopo oltre 28 anni di carcere. Luciano Lutring, il «solista del mitra» scomparso nel maggio scorso, fu perdonato nel 1977 da Giovanni Leone, «doppiando» la grazia già ottenuta dal presidente francese Georges Pompidou. E l'ergastolano Renzo Ferrari, «il veterinario del bitter» che aveva ucciso nel 1962 il marito della sua amante con un aperitivo alla stricnina? Nel 1986 Cossiga gli aprì le porte del carcere. Altro graziato eccellente fu Mario Toffanin, partigiano comunista condannato all'ergastolo in contumacia per l'eccidio di Porzûs in cui vennero trucidati 17 partigiani cattolici. L'ex partigiano Pertini lo graziò nel 1978 malgrado non avesse mai più avuto il coraggio di mettere piede in Italia pur beneficiando della pensione italiana. Caso da film quello di Elisa Spinelli, una zingara che, come Sofia Loren in Ieri, Oggi e Domani, sfornava figli su figli per evitare il carcere. Fu graziata da Cossiga. Graziato mancato fu Renato Vallanzasca, il quattro volte ergastolano a cui fu negata proprio da Napolitano. Stesso destino anche per Bruno Contrada, il superpoliziotto condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, che si rifiutò di chiederla perché innocente («dallo Stato mi aspetto un grazie, non la grazia»). Lo fece per lui - ma invano - il suo legale.
C'è poi il ricco e controverso capitolo dei terroristi. Di Bompressi abbiamo detto. Pertini concesse la grazia nel 1985, alla fine del suo mandato, a Fiora Pirri Ardizzone, ex moglie del leader di Potere Operaio Franco Piperno, gesto che suscitò aspre polemiche. Perdonati in vari momenti Marco Pisetta, considerato il primo eversore «pentito», e gli ex brigatisti Paolo Baschieri, Claudio Cerica, Annunziata Francola, Paolo Maturi, Domenico Pittella, Manuela Villimburgo, Marinella Ventura. Non riuscì a beneficiare della grazia Renato Curcio, fondatore e ideologo delle Br: Cossiga annunciò di volergliela concedere come atto simbolico di chiusura degli anni di piombo ma il suo gestò naufragò tra le proteste delle vittime del terrorismo, le polemiche politiche e l'opposizione dell'allora Guardasigilli Claudio Martelli.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.