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Il terremoto ha raso al suolo la casa ma non la causa che si trascina da anni

Il calvario degli aquilani terremotati alle prese con una giustizia sorda e incomprensibile

Scrivo da uno dei comuni del cratere sismico dell'Aquila per chiederLe aiuto e più precisamente da uno dei MAP (moduli abitativi provvisori) costruiti dal Gruppo STEDA oggi all'origine dei fatti giudiziari che hanno portato alle dimissioni del sindaco e vicesindaco dell'Aquila.
L'ottava sezione del tribunale civile di Roma (il giudice Chiara Schettini è stata arrestata proprio a L'Aquila per vicende che descrivono questa sezione come la cloaca massima dei tribunali italiani) da circa 5 anni sta sballottando 13 aquilani (terremotati) in una vicenda che ha dell'incredibile ed i cui sviluppi trovano spiegazione solo considerando il contesto torbido descritto minuziosamente proprio dal giudice arrestato.
14 eredi, che rappresentano 8 quote di una lascito ereditario, sono trascinati in tribunale per una divisione giudiziale da uno di questi 14; l'unico che fino ad oggi non ha mai partecipato alle spese per la gestione della cosa comune (successione, funerale, spese condiminiali, tasse, ecc..)
Fino dall'inizio i 13, che rapresentano 7 delle 8 quote dell'eredità, si oppongono dichiarando e dimostrando che nessuno dei 14 eredi ha mai espresso obiezioni circa l'entità della quota a lui spettante e circa la scelta di vendere i beni e dividersi, secondo legge, il ricavato.
Il giudice che per primo si occupa della questione, verbalmente, e davanti a testimoni, comunica alle parti che ha intenzione di rigettare l'istanza perché mal posta e carente dei fondamentali richiesti.
Non fa in tempo a formalizzare la decisione perché viene trasferito ad altra sede.
Nella prima delle udienze dinanzi al nuovo giudice si presenta un sostituito che, senza esitazioni, senza conoscere le carte, ignorando la presenza agli atti delle perizie già prodotte dai 13, nomina un CTU, un tal geometra a cui da l'incarico, per la modica cifra di 6.000,00 euro, di quotare una casa in Abruzzo (letteralmente rasa a terra dal terremoto), un appartamento a Roma in San Giovanni ed un terreno in Sardegna. I periti (un architetto ed un ingegnere) incaricati da 13 per periziare le stesse cose ai 13 eredi sono costati in tutto, fatture alla mano, 800,00 euro.
Quando finalmente il nuovo giudice presiede l'ennesima udienza e sono noti i risultati della perizia affidata al CTU che sostanzialmente confermano le stime già prodotte dai 13 e quindi si è di fronte ad una ulteriore dimostrazione che la divisione intrapresa prima che il 14° erede si opponesse si stava svolgendo correttamente e senza arrecare danno a chicchessia, inspiegabilmente il giudice palesa l'intenzione di mettere all'asta l'intero asse.
A questa idea si oppongono decisamente i 13 comunicando formalmente la disponibilità a liquidare in denaro, sulla scorta dei valori stimati dal CTU, la quota del 14° erede che, ricordo, è l'unico a non aver mai contribuito alle spese e che rappresenta un solo ottavo dell'intero asse ereditario.
Ciò nonostante il Giudice, nella recente sentenza parziale emessa prima di Natale, mantiene pervicacemente ed inspiegabilmente l'originario orientamento e dispone di versare un acconto di 3.000,00 euro ad un tal notaio perché provveda, senza indugio, a mettere all'incanto l'eredità.
Se fossimo debitori insolventi il pignoramento dei beni e l'incanto sarebbe evidentemente una soluzione naturale quanto inevitabile.
In questo caso ci troviamo invece con 13 eredi che hanno sempre provveduto a pagare ogni spesa, non ci sono passivi ma solo attivi, sono stati trascinati in questa causa senza motivo e sono inoltre disposti a liquidare in denaro l'erede minoritario il cui gioco è palesemente solo quello di ostacolare gli altri eredi per ataviche e mai risolte questioni personali.
Sono convinto che la causa di divisione avrebbe preso un'altra e più saggia direzione se tra i beni immobili dell'eredità non ci fosse stato l'appartamento in San Giovanni a Roma.

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