L'establishment di centrosinistra è rimasto sorpreso dall'irruzione in campo di Matteo Renzi almeno quanto il ceto politico-burocratico. Se, infatti, gli apparati del Pd temono di perdere potere, finanziamenti e seggi, i «poteri forti» della sinistra sono costretti a fare i conti con un ingombrante terzo incomodo, proprio mentre erano convinti di aver ormai messo le mani sul Pd. Renzi infatti, nello sferrare un attacco mortale al gruppo dirigente democrat, inesorabilmente colpisce anche i burattinai che lo controllano.
L'atteggiamento di Repubblica, insieme politburo e portavoce del partito debenedettiano, è assai significativo. Nei mesi scorsi il quotidiano di Ezio Mauro aveva lanciato una vera e propria Opa sul Pd, sfociata nella proposta di una «lista civica» e, simbolicamente, nella kermesse bolognese. Roberto Saviano - indicato come il «papa straniero» che avrebbe salvato la sinistra - avrebbe dovuto capeggiare la nuova formazione, alleata al Pd ma pronta, anche, a sostituirvisi. L'insofferenza di De Benedetti per Bersani è infatti nota, e in tutti questi mesi il partito di Repubblica si è mosso per accerchiarlo, condizionarlo. L'obiettivo era quello di sostituirlo con un leader più giovane ed estraneo alla tradizione post-comunista.
Se però Renzi dovesse vincere le primarie, tutti i piani salterebbero, e sarebbe proprio il sindaco di Firenze a raccogliere i frutti caduti dall'albero che Repubblica ha scosso in questi anni. Da qui la controffensiva, annunciata da Massimo Giannini in un comico editoriale che esordisce contestando a Renzi l'assenza di un programma «oltre la dottrina del nuovismo purchessia» e, poche righe dopo, accusandolo del contrario, e cioè di aver messo nel suo manifesto programmatico «tutto, anche troppo».
Se il gruppo dirigente di Repubblica e lo stato maggiore debenedettiano sono ferocemente avversi a Renzi (Scalfari sull'Espresso lo ha paragonato al Diavolo in persona, Bettino Craxi), i lettori provano invece una naturale simpatia per il rottamatore.
L'altro grande potere forte della sinistra che è avverso a Renzi è il sindacato. Anche per la Cgil e la Fiom, come per il partito di Repubblica, è in gioco il potere di condizionamento esercitato senza scrupoli in questi anni. Sempre più insofferente verso un Pd che con Fassina predica la rivoluzione mentre in Parlamento vota tutti i provvedimenti di Monti, la Cgil aveva visto nell'alleanza con Vendola la chiave per accentuare il controllo sul partito.
Anche qui, Renzi ha rotto le uova nel paniere e ha mandato all'aria un disegno che pareva oramai compiuto. È evidente che se vincerà le primarie, l'accordo con Sel può considerarsi archiviato. Nell'Italia di Renzi, del resto, la Cgil è un sindacato come gli altri, e i sindacati sono corporazioni come le altre. La Cgil combatterà la sua battaglia, e frotte di pensionati sono attesi ai gazebo delle primarie: ma non è detto che lo sforzo finanziario e organizzativo sia premiato dal successo.
Il terzo potere forte della sinistra - il sistema cooperativo, bancario, assicurativo - ha scelto invece, almeno per ora, di mantenersi neutrale. Un po' per tradizione, e un po' perché quel mondo di Bersani non si fida più come una volta. L'uomo delle «lenzuolate» e della piccola impresa è diventato infatti il compagno di strada di Vendola, e chi nel centrosinistra lavora e produce sa benissimo che con Sel non si può governare l'uscita dalla crisi.
Infine, c'è il grosso partito dei sindaci e degli amministratori locali. Molti di loro, per il fatto stesso di essere giovani e interessati ad una brillante carriera, hanno una naturale simpatia per il rottamatore, e, soprattutto nei piccoli e medi Comuni, potrebbero avere un ruolo decisivo. Nel campo di Renzi, del resto, c'è già una pedina importante: è il sindaco di Reggio Emilia, Graziano Delrio, eletto presidente dell'Anci contro il candidato ufficiale del Pd, il sindaco di Bari Emiliano.
Renzi è dunque meno solo di quanto sembri: o, per meglio dire, ha di fronte a sé un territorio da conquistare - quello degli «astenuti» e degli incerti - mentre Bersani soffre uno svantaggio strategico: i suoi maggiori sostenitori, Repubblica e la Cgil, non lo amano affatto. Scelgono lui soltanto perché temono Renzi.
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