RomaVolevano sequestrarlo e torturarlo per scoprire dove avesse nascosto il tesoro della maxi truffa a Fastweb. Si dissolve rapidamente la nebbia attorno all'omicidio di Silvio Fanella, il cassiere del gruppo di Gennaro Mokbel, ucciso due giorni fa in un appartamento di via Gandolfi, nell'elegante quartiere romano della Camilluccia.
I carabinieri del Ros e gli uomini della squadra mobile ieri hanno messo le mani su preziosi e denaro, che la vittima celava in un'abitazione a Pofi, in provincia di Frosinone, appartenuta ai nonni e ora passata alla madre.
Nel sottotetto e in alcune intercapedini di questo casolare gli investigatori hanno trovato oltre 34 bustine di diamanti, 284 mila dollari in contanti, 118 mila euro e cinque orologi preziosi, tra i quali un Rolex incastonato di diamanti. Ma non è escluso che l'attività investigativa, coordinate dai pm della Dda, Giuseppe Cascini e Paolo Ielo, possa portare ad altre sorprese. Polizia e carabinieri, infatti, sono convinti che quello rinvenuto ieri sia solo una parte del tesoro, frutto della truffa da due miliardi di euro ai danni di Fastweb-Telecom Italia Sparkl e sospettano che allora Fanella sia impossessato anche di parte dei proventi dei suoi complici.
Proprio questo sarebbe il movente della sua tragica morte. Ma probabilmente il commando che giovedì ha fatto irruzione in via Gandolfi, non voleva ucciderlo ma soltanto sequestrarlo per torturarlo e farsi dire dove teneva denaro e preziosi.
La sua morte non sarebbe quindi un'esecuzione, ma un tentativo di sequestro finito male. Ad avvalorare questa tesi il ritrovamento, nell'appartamento teatro dell'omicidio, di una sacca lasciata dai tre balordi che conteneva fascette, cerotti e dosi di cocaina: tutti strumenti di norma utilizzati per effettuare un sequestro. Recuperati dalle forze dell'ordine anche finti documenti delle fiamme gialle, un tesserino intestato a un maresciallo e i bossoli sui quali la scientifica sta effettuando perizie tecniche per cercare di ricostruire quante pistole hanno sparato nell'appartamento.
Di certo si sa che i tre balordi hanno citofonato a Fanella dicendo di essere militari della Guardia di Finanza. Una volta entrati, sarebbe nata una discussione, confermata anche da un testimone, e questa rapidamente è degenerata nella sparatoria.
Non è escluso che sia stato proprio la vittima ad aprire il fuoco, prima di essere disarmata e colpita al petto. L'arma potrebbe essere stata portata via dagli stessi fuggitivi. Ma per avere conferme bisognerà attendere l'interrogatorio di Giovanni Battista Ceniti, il terzo del commando, ferito al gluteo e «scaricato» dai due complici, che lo hanno abbandonato all'uscita del palazzo. L'uomo, che fino a tre anni fa era responsabile di CasapPound a Verbania, si trova attualmente ricoverato in prognosi riservata al Gemelli ma le sue condizioni migliorano rapidamente. Ed è nella sua vita privata e nel suo passato da estremista di destra che gli investigatori scavano per cercare di capire chi si nasconda dietro a quello che assomiglia sempre più a un sequestro su commissione finito tragicamente.
A quanto accertato fino ad ora, comunque, Ceniti non abitava nella capitale e forse è venuto a Roma proprio per mettere in atto il disegno criminale. Di certo tutto fa pensare che dietro a questa storia si nasconda una vera e propria organizzazione, intenzionata a recuperare a tutti i costi quello che Fanella aveva accuratamente celato e fatto sparire.
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