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Tetto agli stipendi pubblici, ecco il flop dei tagli di Monti

Nel 2011 il Prof annuncia i tagli. Ma nel 2013 lo stop funziona solo per due manager: Pietro Ciucci dell’Anas e Domenico Arcuri di Invitalia. Ecco svelata la beffa

Tetto agli stipendi pubblici, ecco il flop dei tagli di Monti

Avrebbe dovuto essere una rivoluzione. Alla fine i tagli dell'allora premier Mario Monti, che si rifiutava che i dipendenti pubblici potessero guadagnare più della Suprema corte, si sono rivelati un vero e proprio flop. Un po' perché il regolamento è in capo al ministero dell'Economia, un po' perché sotto sotto si trattava di una boutade. Non a caso quando la leghista Manuela Dal Lago riscì a far scattare la tagliola per tutti, prima il Tesoro era riuscito a correre ai ripari tutelando società quotate come Eni, Enel, Finmeccanica e Terna, poi un emendamento creato ad hoc aveva escluso anche le società non quotate che, però, hanno emesso "strumenti finanziari" sui mercati non regolamentati. Ed ecco che anche le Ferrovie dello Stato con gli 873.666 euro di Mauro Moretti, la Cassa depositi e prestiti con l'abbondante milione di euro di Giovanni Gorno Tempini e le Poste con il milione e mezzo di Massimo Sarmi la fanno franca. Infine, fu la volta dell'emendamento per le controllate. Morale? "Quando nel 2013 si arriva al dunque - spiega Sergio Rizzo sul Corriere della Sera - gli stipendi al top che vengono tagliati sono soltanto quelli di Arcuri e Ciucci. Meglio che niente, dirà qualcuno. Ma certo fa ridere che su 7.411 società pubbliche il tetto dei 302mila euro abbia dispiegato concretamente i propri effetti solo in un paio di casi".

Gli stipendi dei manager pubblici sono alti, non c'è che dire. Ma è difficile strappare al privato bravi dirigenti capaci di mandare in attivo carrozzoni pubblici che per anni non hanno fatto altro che presentare conti in rosso. È il caso delle Ferrovie dello Stato. Quando Moretti divenne amministratore delegato, Fs aveva 2,1 miliardi di perdite su un fatturato di 6,7 miliardi di euro. Nel 2013, con il sesto bilancio positivo consecutivo, si annunciano utili per 450 milioni e miliardi di investimenti in autofinanziamento. Fs non è, quindi, un carrozzone. Per questo i tagli dei compensi non possono essere punitivi. Altrimenti, quando fra qualche settimana il premier Matteo Renzi dovrà trovare uomini capaci di guidare colossi come Eni, Enel o Finmeccanica, farà fatica a strappar bravi manager dal privato. "È il capitalismo bellezza", ha spiegato l'ex ministro Fabrizio Barca chiarendo che la somma di 850mila euro è tanta rispetto al comune sentire, non rispetto a ciò che paga il mercato. Ma quando si è arrivati a staccare questi assegni da capogiro? "Nel 1987 il presidente dell’Eni Franco Reviglio guadagnava 250 milioni di lire, cifra pari a 285.000 euro del 2012 - fa notare Rizzo - ovvero, meno di un ventiduesimo di quello che è stato nello stesso anno il compenso del suo omologo attuale Paolo Scaroni". E ancora: "Nel 1992 anche il capo delle Fs Lorenzo Necci guadagnava 250 milioni di lire, cioè meno di 220 mila euro di oggi. Esattamente un quarto rispetto alla paga di Mauro Moretti che minaccia di fare le valige se gliela taglierano. Ma addirittura, stando a notizie mai smentite, un tredicesimo di quella (2,5 milioni) del suo predecessore Elio Catania, che peraltro lasciò le Fs nel 2006 con una buonuscita di 7 milioni nonostante un buco di bilancio di quasi 2 miliardi".

L'assunzione di manager esterni con contratti a tempo determinato, le privatizzazioni, la quotazione in Borsa sono tutti fattori che hanno obbligato il pubblico ad allineare i compensi con quelli staccati dei privati. Un andazzo che interessò tanto i colossi quanto le società "periferiche". "L’amministratore delegato e direttore generale dell’Acea - continua Rizzo sul Corsera - guadagna in tutto 1,3 milioni di euro. Il quintuplo di quello che un tempo era lo stipendio del presidente dell’Iri. La società è quotata, ma la maggioranza è in mano al Comune di Roma e l’azienda gestisce servizi in monopolio". Anche nelle aziende locali i numeri non si discostano più di tanto. Anzi, spesso spuntano "variabili" che, a seconda dei risultati raggiunti, fanno lievitare lo stipendio a fine mese. E quando i conti sono un colabrodo? Poco importa.

Le retribuzioni non vengono certo decurtate.

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