«Chi si presenta alle elezioni e acquisisce un risultato così importante deve prendersi delle responsabilità»: ieri pomeriggio, presentando non per caso la biografia di Giorgio Napolitano appena pubblicata da Paolo Franchi, Massimo D'Alema ha ribadito che la linea di Bersani è quella giusta, e non ha subordinate. «Essendo il Pd la prima forza del Paese - ha aggiunto scandendo le parole, come a dimostrare un teorema di cui tutti debbono prendere nota - non si può prescindere dal Pd». Quanto ad un accordo col Pdl, l'ex presidente del Consiglio è secco: «Lo escludiamo». Ma è davvero così? L'impressione è che toccherà al «killer maximo» sparare l'ultima pallottola politica al segretario, magari come atto di grazia. Per cominciare, D'Alema ha detto che «non si può prescindere dal Pd» (il che peraltro è un'ovvietà, visti i numeri alla Camera), non che il Pd, e cioè Bersani, deve guidare il prossimo governo. Non è una differenza da poco. Al Nazareno sembra tornata la nebbia che avvolgeva le Botteghe Oscure ai tempi di Togliatti e di Ingrao, quando schiere di cremlinologi nostrani s'ingegnavano a decifrare questo o quell'aggettivo, un'omissione o una sottolineatura: e dunque bisogna adeguarsi, anche in questo caso, all'«usato sicuro». Il Pd della Grande sconfitta non riesce a discutere pubblicamente e ordinatamente né della mancata vittoria, né della leadership di Bersani, e neppure della linea da seguire nelle prossime settimane. Solo il segretario ha diritto di parola, e ogni volta che parla uno stuolo di giovani funzionari ripete la formula del giorno in tutti i talkshow. È paradossale che le uniche riflessioni sensate sulla débacle del partito siano venute dagli unici due «rottamati», D'Alema e Veltroni, mentre l'intero gruppo dirigente mormora nei corridoi, ma non ha il coraggio di rilasciare un'intervista. Proprio l'intervista di D'Alema al Corriere è stata oggetto di un autentico anatema. L'ex presidente del Consiglio aveva proposto un accordo con Pdl e Movimento 5 Stelle per le presidenze delle Camere, rinviando ad un secondo momento la questione del governo, così da rasserenare il clima e rendere possibile - ma qui l'ottimismo di D'Alema pare eccessivo - una «legislatura costituente». Apriti cielo! Bersani s'è impermalito perché l'intervista precedeva la sua e perché mandava in soffitta l'idea di un governo con Grillo e, di fatto, la sua premiership. I bersaniani di ogni ordine e grado hanno subito gridato all'inciucio con il Giaguaro, e i più solerti hanno derubricato il tutto ad un'autocandidatura per il Quirinale. D'Alema ha subito fatto macchina indietro, dichiarando la sera stessa al Tg1 che mai e poi mai il Pd farà un «governissimo» con Berlusconi. Dopodiché s'è seduto in poltrona e ha cominciato a godersi lo spettacolo. Ha preso nota dell'uscita di Veltroni a favore di un «governo del presidente» e, soprattutto, ha registrato con attenzione le dichiarazioni di Napolitano, subito lette da analisti e politici come un altolà all'incarico a Bersani. «In un tempo in cui sembrano prevalere volgarità e qualunquismo - ha detto proprio ieri D'Alema - il Paese ha nelle virtù di Napolitano una delle sue ultime riserve, in un momento di crisi così acuta». Insomma, Bersani vada a pure a schiantarsi contro il muro del Quirinale, se proprio lo vuole.
Può darsi che dopo il suo fallimento ci siano nuove elezioni anticipate: ed è questo il disegno che coltiva il Grande sconfitto, convinto che prima si vota e più alte sono le probabilità di restare in sella. Ma può anche darsi che, liquidato il tentativo di Bersani, la politica riprenda il suo corso: e allora D'Alema non mancherà di dire la sua.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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