Roma - Neanche il tempo di festeggiare la condanna definitiva della Cassazione al nemico numero uno Silvio Berlusconi, ed ecco che arriva dal Colle l'appello alla riforma della giustizia. Per le toghe, è una minaccia.
Tanto più, che Giorgio Napolitano (che presiede anche il Csm) indica come base di partenza le proposte dei suoi «saggi». Quelle che ad aprile l'Anm definiva «fortemente insoddisfacenti e conservatrici».
La corrente di sinistra Magistratura democratica insorge subito. Va allo scontro con il capo dello Stato, oltre che con il Cavaliere che annuncia battaglia sul sistema giudiziario da cambiare. «È un segnale negativo parlare di riforme della giustizia dopo la sentenza di Cassazione - avvertono il presidente Luigi Marini e il segretario Anna Canepa - Non sbaglia chi guarda con preoccupazione al futuro della giustizia in Italia. I ripetuti richiami alla necessità di riforme della giustizia suonavano come risposte alla prova di indipendenza che la magistratura ha saputo dare, a dimostrazione che una parte consistente (quanto consistente vedremo) del sistema politico considera quella indipendenza un pericolo e intende andare adesso alla resa dei conti».
Per ora, è più cauto il presidente dell'Anm Rodolfo Sabelli, che dopo aver difeso i giudici della Cassazione dagli «inaccettabili» attacchi di Berlusconi e del Pdl in una nota ufficiale, spiega a Il Giornale: «Una riforma della giustizia può essere solo nel segno dell'efficienza e dell'innovazione del sistema, per rispondere ad emergenze come quella delle carceri. Tutte cose che l'associazione chiede da tempo. Quanto ai saggi, sulla relazione non c'era completo accordo e si usavano molti condizionali. Onida ha espresso una riserva a favore della revisione della prescrizione, Violante su alcuni aspetti della riforma delle fattispecie penali». Però, per Napolitano la base della riforma della giustizia dev'essere proprio quel testo, compresi punti che l'Anm ha duramente criticato come i limiti alle intercettazioni e la creazione di una Corte di secondo grado, fuori dal Csm, per la responsabilità disciplinare delle toghe. «Il sistema attuale - obietta Sabelli - interno al Csm, funziona bene e assicura un controllo efficace. Applica molte più sanzioni di organi analoghi di altre categorie. Tutto è perfettibile, però...».
Però alla loro giustizia «domestica» le toghe ci tengono molto e sono pronte ad ogni resistenza per impedire di essere giudicate disciplinarmente da una Corte per un terzo di eletti dal Parlamento, per un terzo dal Quirinale e solo per un terzo da magistrati.
Per non parlare delle proposte dei «saggi» per garantire «tempi ragionevoli di durata dei processi», per mettere paletti nelle Procure sugli «strumenti investigativi più invasivi» come le intercettazioni, per contenere la fase delle indagini preliminari, introdurre «vincoli temporali all'esercizio dell'azione penale», impedire l'«uso improprio» dei mass media e vietare candidature o rientri in ruolo dopo esperienze politiche nei luoghi dove le toghe esercitano le loro funzioni. Tutti punti che costituiscono l'ossatura della famosa relazione dei saggi di Napolitano e che nelle toghe scatenano quasi forme di reazioni allergiche.
«Da 50 anni l'esigenza di una riforma strutturale della giustizia - protesta l'Unione Camere Penali - si scontra con la chiusura aprioristica e corporativa delle correnti della magistratura. Basta con l'incostituzionale pretesa di condizionare il potere legislativo».
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