Quello che tutti temevano ma che nessuno osava nemmeno ipotizzare, adesso è realtà. L'area a caldo dell'Ilva di Taranto è sotto sequestro, questa volta per davvero. L'azienda dovrà sì risanare gli impianti, come sentenziato dal tribunale del Riesame, ma «senza alcuna facoltà d'uso a fini produttivi». «Merito» del provvedimento diramato dal gip di Taranto Patrizia Todisco. E che l'azienda ha immediatamente deciso di impugnare dinanzi al tribunale del Riesame. Eppure proprio la sentenza del Riesame di martedì scorso sembrava avere accontentato tutti: la Procura, che vedeva confermato quasi in toto il suo impianto accusatorio e l'azienda, che otteneva di proseguire la produzione impegnandosi appieno sui temi della salvaguardia ambientale. Anche se la sentenza non era del tutto chiara sulla continuazione del ciclo produttivo, il labile margine di interpretazione ha permesso al gip di far prevalere i cavilli, con le conseguenze devastanti che una decisione del genere avrà sull'impianto. È un danno enorme per l'economia italiana e un colpo durissimo per decine di migliaia di lavoratori di Taranto e di tutto il settore siderurgico nazionale. Gli stabilimenti di Genova, Novi Ligure, Marghera e tutti gli altri sparsi per l'Italia, dipendono infatti in maniera strettissima dall'attività pugliese: se Taranto non lavora l'acciaio a caldo, l'intera filiera in Italia si blocca. Fine dei lavori, fine del lavoro. In barba agli appelli del mondo politico, istituzionale e imprenditoriale.
L'ultima parola non è ancora detta. Il legale dell'Ilva, Egidio Albanese, oltre a dubitare della competenza del gip riguardo un provvedimento che definisce «abnorme», sottolinea come il Riesame non abbia specificato nulla sulla produzione: «Assolutamente non c'è nessuno stop. Potrebbe eventualmente disporlo solo il Riesame nelle motivazioni». Il legale contesta un'incongruenza: nel dispositivo del gip viene specificato il ruolo dei cosiddetti «custodi del sequestro» e spicca il controsenso di un Ferrante al tempo stesso datore di lavoro e responsabile dell'azienda ma non dell'area a caldo. Unito il fronte politico a difesa dell'azienda e contro lo stesso giudice. Con l'eccezione dei soliti «mister no» dell'Italia dei valori e dei Verdi, è un coro di critiche bipartisan. Per il ministro Corrado Clini «i contenziosi in sede giudiziaria e i conflitti sociali che si stanno aprendo potrebbero avere l'effetto di interrompere o ritardare fortemente il programma di risanamento degli impianti». Confindustria afferma che «è essenziale che la continuità della produzione venga garantita, soprattutto alla luce degli impegni assunti dall'azienda, dal governo e dalla Regione per la messa in sicurezza degli impianti e la bonifica dell'intera area». Osvaldo Napoli, vicecapogruppo Pdl alla Camera, parla di «decisione grave, illogica e contraddittoria» mentre Stefano Saglia, capogruppo Pdl in commissione Attività produttive, pone «seri interrogativi sull'idoneità di Taranto come sede per lo svolgimento del processo». Anche il democrat Stefano Fassina definisce il provvedimento «irrituale e molto preoccupante». Il governatore pugliese Nichi Vendola va al cuore del problema: «Sono preoccupato.
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