Toh, Veltroni scopre l'altro '68

Toh, Veltroni scopre l'altro '68

I l nuovo romanzo di Walter Veltroni è probabilmente la più importante (e severa) riflessione politica sulla sinistra italiana da molti anni a questa parte. Che appaia in forma di racconto e non di saggio è un segno della sua modernità illuminista; ma anche, forse, di una certa reticenza molto (post)comunista a parlare chiaro di cose scomode. Lasciamo da parte dunque i meriti letterari del fondatore del Pd, e affrontiamo la sostanza.
I favolosi anni Sessanta (così s'intitola un suo libro del 1981) sono un'autentica ossessione veltroniana, ma qui per la prima volta in forma esplicita il decennio non è soltanto musica a 45 giri, figurine Panini e film di Mastroianni: è anche, e finalmente, il decennio cruciale che divide a metà il secolo, e anzi lo spacca come una mela, e che in Italia avrà conseguenze durature sul destino della sinistra. Il '68 è assurto a simbolo di quegli anni, ma certo non li riassume né li significa tutti. Anzi, si può dire che ne segni l'inizio della fine. E Veltroni, nel suo romanzo, proprio questo vuol farci capire.
L'isola e le rose racconta, come recita il sottotitolo, «Un'incredibile storia vera»: quella di una piattaforma artificiale di 400 mq costruita al largo di Rimini, al di fuori delle acque territoriali italiane, nel maggio del '68 e battezzata, appunto, «Isola delle Rose» (anzi, «Insulo de la Rozoj», perché la lingua ufficiale era l'esperanto). La piattaforma-isola, che avrà vita brevissima e subirà presto un grottesto blocco navale italiano, si presenta come un vero e proprio stato indipendente, con tanto di bandiera e francobolli. Ma è soprattutto un grandioso esperimento libertario, uno dei pochissimi a fiorire nel nostro Paese.
E qui veniamo al punto. Il '68 nasce, come tutto ciò che ha a che fare con la libertà, negli Stati Uniti, e precisamente quattro anni prima, nel '64, quando l'università di Berkeley viene occupata dagli studenti. In quel periodo cruciale muore assassinato il presidente Kennedy e i Beatles tengono la loro prima trionfale tournée in Nordamerica. Gli anni Sessanta americani sono gli anni della controcultura, della rivoluzione dei costumi, del movimento hippy. Non manca la violenza neanche negli Stati Uniti (anzi), ma l'impronta è nettamente libertaria, pacifista, nonviolenta. L'obiettivo non è necessariamente cambiare il mondo, ma «liberare la mente»: cioè coltivare la libertà. I giovani americani riscoprono il diritto a perseguire la propria felicità, inscritto da Jefferson nella Dichiarazione d'Indipendenza, e su questa leva partono all'attacco dell'establishment.
In Europa le cose vanno altrimenti. Prima in Francia, e poi soprattutto in Italia, la contestazione giovanile si politicizza, si frammenta e irrigidisce in decine di partitini maoisti, leninisti, persino stalinisti, si militarizza e infine si inaridisce. La parte più vitale, più innovativa, più aperta del movimento viene rapidamente soffocata dalla micro-partitocrazia e, poi, dai servizi d'ordine, e sopravvive soltanto ai margini, semiclandestina, folcloristica, guardata con sospetto dai marxisti vecchi e nuovi e nuovissimi. I quali tollerano gli aspetti di costume - la musica, che però dev'essere «impegnata», piuttosto che la rivoluzione sessuale - ma fraintendono completamente la portata libertaria, anarco-individualista, creatrice del movimento. Dalla rivolta americana nasceranno il computer e internet, da quella italiana il terrorismo e l'ideologia assistenzialista del precariato permanente.
L'Isola delle Rose è un frammento dell'altro '68, quello minoritario e reietto, cioè quello vero: che considera già morte e sepolte le ideologie e le distinzioni pretestuose fra «destra» e «sinistra», che coltiva nella libertà dell'individuo le radici della creatività, che non ha paura del progresso, che crede nel merito e nella responsabilità.

Veltroni riporta alla ribalta questo frammento dimenticato, guardato con sufficienza dagli intellettuali organici e dai militanti severi, e rovescia così l'immagine tradizionale, conservatrice e politicamente corretta che la sinistra vecchia e nuova ha costruito del '68. È un'operazione culturale e politica che meriterebbe qualche riflessione meno superficiale, e che ha il merito, per una volta, di essere limpidamente, rigorosamente minoritaria.

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