Tornano i barconi, Lampedusa indifesa

Tornano i barconi, Lampedusa indifesa

di Paolo Granzotto

Ricominciano gli sbarchi di massa a Lampedusa. Solo ieri sono giunti sull'isola oltre 400 clandestini, nella maggioranza, se non tutti, tunisini. Anche se parlare di sbarchi non è corretto, perché si tratta di accompagnamenti, di presa in consegna dei clandestini - detti «migranti» secondo il piagnisteo politicamente corretto - in alto mare e loro traghettamento sulla terraferma. E non siamo di fronte al soccorso umanitario - mare in burrasca, carrette del mare lì lì per sfasciarsi, condizioni disumane oltre a mancanza d'acqua e di cibo - sul quale non si discute. Ma proprio di una procedura di benvenuto. I due natanti sul quale erano imbarcati i 400 tunisini sono motopescherecci in buono stato, l'uno di 16 e l'altro di 12 metri. Il mare era mosso, ma di quel moto ondoso ben sopportato anche dai bagnanti in pattino. E nessuno dei «migranti» dava segno di disidratazione o inedia. Entrambi i pescherecci sono stati avvistati dal servizio di pattugliamento, un aereo islandese in missione per conto della Frontex (l'agenzia europea per il coordinamento del pattugliamento delle frontiere esterne aeree, marittime e terrestri degli Stati dell'Unione) e un elicottero della nostra Marina militare. Segnalate le due imbarcazioni con prua su Lampedusa, alla prima le è andata incontro una squadra composta da una motovedetta della Guardia di Finanza, una nave della Marina militare e tre motovedette della Capitaneria di Porto assistite da due elicotteri. Alla seconda una flotta composta da due navi della Marina e due motovedette della Guardia costiera, ovviamente assistite da un elicottero. In totale, sette unità navali e tre aeree (figuriamoci i costi). Neanche si fosse dovuto andare in soccorso dei naufraghi del Titanic. In ogni modo, i clandestini, tutti in buona salute (la traversata dalla costa tunisina a Lampedusa è di cento e sessanta chilometri per cui anche andando a 15 nodi in sei-sette ore si è a destinazione) sono stati trasbordati dai pescherecci alle unità navali che li hanno felicemente e confortevolmente condotti alla meta.
Questo per dire che grazie a ciò che Roberto Maroni giustamente definisce «buonismo peloso» (ci torneremo subito) praticato in specie da questo governo che vanta addirittura un Ministero per l'Integrazione all'insegna «dell'Avanti c'è posto», si è come steso un tappeto rosso tra i centri nordafricani di smistamento dei clandestini e le coste della madrepatria. Che così sono diventate le preferite, scalzando quelle spagnole da quando Louis Rodriguez Zapatero ebbe l'idea di bloccare l'immigrazione clandestina armi alla mano. Nessuno vuole che si giunga a tanto, per carità. Neanche pensarci. Però, qualcosa si deve pur fare per scrollarci di dosso l'etichetta di Paese-Bengodi del Clandestino. Ad esempio procedendo al rimpatrio immediato quando sussista la certezza che i «migranti» siano tali e non perseguitati politici con diritto d'asilo (categoria alla quale il «buonismo peloso» vorrebbe far comprendere chiunque metta piede - clandestinamente - in Italia). E qui torniamo a Roberto Maroni.

Riferendosi ai 400 e passa sbarcati ieri l'ex ministro ha mandato a dire: «Vengono dalla Tunisia, non sono profughi ma clandestini e possono essere rimpatriati subito in base all'accordo da me fatto un anno fa. Ministro Cancellieri, coraggio, non si faccia fregare dal buonismo peloso di qualche suo collega di governo». Parole sante.

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