C’è un Travaglio sofferente in corso. C'è dolore interiore e angoscia per le dichiarazioni del procuratore capo dell'Antimafia, Piero Grasso, che archiviano definitivamente le accuse di mafiosità per Silvio Berlusconi e certificano la faziosità dei pm suoi accusatori, come Antonio Ingroia. Per Travaglio Marco ed Ezio Mauro, direttore de La Repubblica, pubblicare ieri una simile notizia è stato come partorire con dolore. Tanto che, più che un parto, il risultato è stato un aborto. La Repubblica l'ha nascosta in dieci righe a pagina 17 , il Fatto di Travaglio non l'ha neppure pubblicata e, raro esempio di giornalismo, l'ha offerta ai suoi lettori sotto forma di una smentita (manco fosse l'ufficio stampa della Procura di Palermo) firmata da Travaglio medesimo.
L'Unità ha cambiato formato ma non pelle, e ha fatto ancora meglio: neppure un rigo. Su casi inversi, Emilio Fede è sempre stato più corretto e leale con i suoi ascoltatori, Augusto Minzolini ora appare, quale è, un gigante di libertà e professionalità.
Eppure di mafia Travaglio e Mauro se ne dovrebbero intendere. Ogni peto di pentito contro Forza Italia diventa titolone, quando non libro, e il primo dei due con un presunto mafioso ci ha passato pure le vacanze (salvo trascinare in tribunale chi glielo ricorda, come è accaduto di recente a Gianni Riotta, altro cuor di leone del giornalismo).
Il mito di Ingroia, pm senza macchia, è a pezzi, ma i lacchè delle Procure stendono il cordone sanitario: tacere, nascondere, minimizzare o rivangare e vendere come fresche tesi accusatorie già smontate e seppellite da sentenze definitive che ovviamente si tacciono.Chi di pm ferisce, di pm perisce. Ma se fossi in Piero Grasso non starei tranquillo. Nei cassetti dei nostri eroi ci sono veline per tutti, soprattutto per chi si sottrae al gioco del dagli al Berlusconi mafioso.
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