Roma Ha scelto il sabato del Grande Esodo, Pier Ferdinando Casini, per rompere il silenzio e dire che sì, è pronto ad allearsi con gli eredi della «grande famiglia socialista», alias il Pd. Naturalmente dopo una corsa in solitaria alle future elezioni politiche, facilitata dalla leggina proporzionalistica che le segreterie di partito stanno laboriosamente confezionando per l’autunno.
Sulla questione Vendola il leader Udc glissa: è un problema del Pd, tocca a Bersani mettere capo alle «eterne questioni della sinistra» e riunificare gli ex Pci.Un’idea che non va per niente a genio ai moderati Pd: «L’alleanza con l’Udc è fondamentale, ma non certo con un Pd che si trasforma in Ds», avverte Paolo Gentiloni. Dal canto suo Vendola fa mostra di attaccare Casini, lo sfida a «convertirsi» perché «il liberismo è il diavolo», elenca una serie di condizioni per l’alleanza (dai matrimoni gay alla difesa della Ue dai «diktat della troika») indigeribili all’Udc, ma sono messaggi rivolti a rassicurare la base: il capo di Sel ha già siglato l’intesa con Bersani sulla futura alleanza, e sa che i centristi saranno indispensabili a fare maggioranza.
Lo schema che Casini prefigura è quello di una coalizione tra una sinistra di stampo europeo (il Pd coi suoi annessi e connessi, Sel inclusa) e un centro nel solco Ppe da lui incarnato, e che punta a rafforzare aggregando pezzi di ceto imprenditoriale, di associazionismo cattolico e di ministri tecnici ma vogliosi di restare in politica: dalla Marcegaglia alla Cisl, da Passera a Riccardi a Montezemolo. Il Pd mostra di apprezzare la promessa di futuro matrimonio, ed è il coordinatore della segreteria Migliavaccadi commentarla con i crismi dell’ufficialità: con l’intervista al Corriere , Casini mostra «consapevolezza sulla sfida che l’Italia ha di fronte».In casa democrat resta però un dubbio, che Casini non scioglie: chi sarà il premier dell’alleanza tra ex Dc ed ex Pci? Alla domanda se sarà Monti, il leader Udc si limita a dire: «Sono un suo grande estimatore e non mi permetto di tirarlo dentro questo dibattito».
Certo, Bersani è convinto che sarà la forza dei numeri a imporre il nome, e uno dei suoi futuri alleati di Sel, Paolo Cento, spiega: «Casini non può certo andare al voto dicendo che il premier sarà Bersani, ma se il Pd vince bene e si aggiudica il premio di maggioranza, nessuno potrà mettere in discussione che è lui il candidato naturale». E Monti?«Andrà al Quirinale».Conferma dal Pd Stefano Fassina: «Bersani sarà premier, Monti sarebbe un buon capo dello Stato». Ma nel Pd c’è chi ipotizza (e auspica) uno scenario diverso: «Le elezioni a novembre allo stato sembrano irreali, ma un anticipo dello scioglimento è possibile, a fine gennaio, per votare a marzo». Un anticipo volutodal Quirinale per evitare la coincidenza tra formazione del governo e scelta del presidente della Repubblica, che scade a maggio, e per accelerare il varo di un governo che potrebbe trovarsi a gestire le condizioni della Ue alla concessione dello scudo anti-spread.
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