Il vero nodo? Il mercato del lavoro

Anche Standard e Poor's (S&P) boccia la legge di Stabilità e l'operato del governo Letta, dichiarando che mentre rimane confermato il rating BBB con prospettiva negativa è possibile entro un anno un downgrade, cioè un peggioramento del giudizio se il governo non attuerà le riforme, in particolare quella del mercato del lavoro. S&P è legata a interessi finanziari americani e le sue valutazioni vanno prese con beneficio di inventario, perché possono dipendere dalle rivalità fra impieghi in titoli in dollari e in euro.

Ma S&P spiega che date le mancate riforme che riducono la competitività dell'Italia, essa nel 2014 non avrà una crescita del Pil dello 1% come stimato dal governo, ma dello 0,4 e nel 2015 non dello 1,7 ma dello 0,9. L'occupazione sarà minore di quanto previsto da Letta e la disoccupazione aumenterà. Le stime di S&P sono simili a quelle diramate dall'Ocse, che valuta allo 0,6 la crescita del 2014 del Pil italiano e dello 1,6 quella del 2015. Analoghe le stime esposte venerdì a Milano da «Economia reale» con il modello di Oxford Economics. Essa, dopo la legge di Stabilità, stima la crescita allo 0,4 nel 2014 e allo 1,2 nel 2015. Con la valutazione dell'Ocse la disoccupazione che adesso è del 12,1 salirà al 12,4 nel 2014 e tornerà al 12,1 nel 2015.

Con la valutazione di «Economia reale» essa anche nel 2015 sarà ancora superiore a quella attuale. Dunque S&P non è isolato nelle sue stime. Dice però che la causa della stentata crescita sta nel fatto che l'Italia non fa la riforma fondamentale: quella del mercato del lavoro. Del resto S&P due settimane fa ha migliorato il rating della Spagna - da BBB con prospettiva negativa a BBB con prospettiva stabile - spiegando che le riforme del mercato del lavoro della Spagna hanno incrementano l'export e generano una crescita del Pil migliore delle precedenti previsioni. L'indice di competitività del World economic forum di Ginevra, del resto, per l'efficienza del mercato del lavoro pone l'Italia al 137esimo posto su 148. La Cgil sciopera contro la legge di Stabilità perché non affronta il problema della disoccupazione.

È proprio la sua resistenza contro la riforma del lavoro che impedisce di affrontare i mali che essa depreca e che riguardano non solo il lavoro dipendente, ma anche quello autonomo delle partite Iva e l'esercito degli scoraggiati che non cercano lavoro e pertanto non sono né occupati, né ufficialmente disoccupati. L'Istat stima a 3,5 milioni i «giovani» fra i 16 e i 35 anni, che sono in questa condizione. I 35 anni sono l'età media della nuova segreteria nazionale del Pd, con a capo Matteo Renzi che mentre uscivano questi pessimi dati ha ricevuto il capo dei metalmeccanici Fiom Maurizio Landini, con baci e abbracci basati sul motto «Archiviamo Marchionne». Landini poco prima aveva dichiarato che Marchionne ha tradito gli operai, che i contratti Fiat-Marchionne vanno seppelliti, che la Fiom propone una legge sulla rappresentanza sindacale che restauri, nelle imprese che fanno contratti aziendali, la rappresentanza di tutti i lavoratori, compresi quelli che non hanno firmato tali contratti, per consentire a loro di interpretarli. Per i contratti Fiat di Marchionne si sono fatti referendum di fabbrica.

E la maggioranza composta di sindacati liberi e addetti non tesserati li ha approvati. Fiom-Cgil ha detto no e pretende di far parte della rappresentanza aziendale che interpretano il contratto. E Renzi dà ragione a Landini.

Il principio che la maggioranza decide gli va bene solo in politica, non in azienda. Che gli importa se i trentenni che non sono né occupati né disoccupati sono 3,5 milioni e se nel Sud ove Fiat ha quasi tutte le fabbriche sono 2 milioni? Intanto Fiat preferisce investire all'estero.

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