nostro inviato a Cernobbio (Como)
Pare un signore disincantato che predica da una montagna lontana. Fuori dal teatrino della politica. E così quasi si diverte, con un'asprezza alla Churchill, a fare il contropelo alla scintillante platea accomodata nei saloni di Villa d'Este: «Vi auguro di trovare governi che vi scontentino più di quanto fatto in passato». Tranquilli, il profeta di sventura dura un'istantanea. Mario Monti bilancia subito con millimetrica precisione: «Ho fatto dei test politici e ho letto un sondaggio. La percezione che la gente ha dell'azione del governo è buona». E poi bilancia ancora: «Ho trovato una politica migliore di quella che immaginavo. I partiti hanno sostenuto con responsabilità questo governo». Mario Monti è un caleidoscopio, inafferrabile. Non è un politico puro, non è un tecnico doc, non è solo un accademico, ma la somma di tutte queste cose ed è un grande uovo di Pasqua che promette altre sorprese. A cominciare dalla sempre più evocata ridiscesa in campo. Usa i diversi registri col bilancino del manuale Cancelli - del resto ha confessato ascendenze di marca popolare - colpisce un po' tutti, ma tutti rassicura e, al momento dei titoli di coda, l'elenco dei ringraziamenti è lunghissimo. No, Mario Monti non dimentica niente e nessuno perché è nel suo stile di gentleman e perché di ciascuno ha bisogno nel suo ambiziosissimo percorso. Prima una considerazione generale: «Mi rifiuto di pensare che un grande Paese democratico come l'italia non si possa eleggere un leader che sia in grado di guidare il Paese».
Poi, davanti alla platea del workshop Ambrosetti, riabilita la vituperata casta e lancia una stoccata agli accademici: «L'invito degli economisti a non curarmi del volere dei partiti, che comunque seguiranno, è un po' astratto. Cosa succede poi se i partiti non approvano? È magnifico per il presidente del Consiglio che si dimette con gloria, ma brutto per il Paese».
No, Monti non vuole assolutamente dimettersi, vuole arrivare all'ultimo giorno, anzi all'ultimo secondo del suo mandato, e non gli dispiacerebbe proseguire. È un tecnocrate, ma è stato forgiato nella dimensione italiana del compromesso. Dei rapporti con il Palazzo. Degli equilibri di potere. E naviga a vista. Con orgoglio e prudenza. Scontenta, ma solo un po', liscia invece il pelo con enfasi agli Alfano, ai Letta, ai Berlusconi. Al cospetto del Cavaliere, cui pure ha rubato la scena, s'improvvisa addirittura amorevole psicanalista: «Ringrazio il mio predecessore perché a novembre deve aver passato un momento complicato, anche da un punto di vista psicologico». Su Casini distilla a distanza perfidia, prendendola da lontano: «Voglio raccontare un aneddoto che mostra come cambiano le cose nella politica. Nel luglio 2004 era in scadenza il mio mandato di commissario e non avevo fatto mistero a nessuno che avrei fatto volentieri un altro mandato, ma Berlusconi mi disse: La confermerei volentieri, ma ho dei problemi con l'Udc che vuole Buttiglione». Quindi usa la storiella per aprire una altro siparietto, questa volta con Bobo Maroni, presente in sala. «La Lega spiegò - afferma il premier - che avrebbe appoggiato Monti perché varesino. Io allora telefonai a Maroni per ringraziarlo ma anche perché aggiungesse qualche altra considerazione. Risultato, Maroni se ne uscì con una seconda dichiarazione: Continuo a sostenere il professor Monti anche è perché è varesino».
Ce n'è per l'Udc e ce n'è, sul filo di un'ironia sottile, anche per Maroni, ma subito dopo arriva anche per Bobo la sviolinata: «A novembre mi sono rivolto ad alcuni ministri del governo Berlusconi che avevano dato ottima prova invitandoli a entrare nel mio esecutivo e fra questi ho cercato anche Maroni». Ma la Lega rispose picche e allora l'ecumenico, e un po' zuccheroso Monti vira verso Anna Maria Cancellieri, omaggiando pure lei. L'uomo della svolta è in realtà il campione dell'abbastanza, come Giolitti lo era del parecchio «Ho resistito abbastanza alle lobby - riassume - ma non quanto avrei voluto». Poi sale sulla Lancia Thesis con un sorriso soddisfatto e con un pacco pesantissimo di giornali fra le mani. Più tardi, da Sarajevo, lancia un nuovo monito: «L'euro, che rappresenta un fattore unificante da preservare, rischia di diventare causa di nuove fratture in Europa».
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