In maniche di camicia, seduto a tavola con Obama e gli altri Grandi: Enrico Letta, nella sua prima photo opportunity al G8 irlandese, appare lontano come non mai dalle beghe in cui si arrovella il suo partito. Che da ieri, con la prima riunione della Commissione che deve decidere le regole del prossimo congresso, si è ufficialmente infilato nel tormentone Renzi segretario sì-Renzi segretario no.
Non che quelle beghe lascino indifferente il premier, anzi: dai tempi e dalle tensioni del congresso Pd dipenderanno anche le sorti del suo governo. Ma Letta sa anche bene che meno si fa vedere immischiato nei pasticci Pd e più la sua popolarità se ne giova. Tra i bersaniani e i renziani minacciava di scorrere il sangue, perché i seguaci dell'ex leader volevano a tutti i costi per uno dei loro (Zoggia, Stumpo, etc.) la poltrona di capo della Commissione, in modo da poter disseminare di trappole il cammino di Renzi.
Epifani (accogliendo un suggerimento dei fan del sindaco di Firenze) ha preso una decisione salomonica: «La commissione la presiedo io, o un mio delegato». Salvando capra e cavoli: i bersaniani non possono certo opporsi al segretario da loro indicato, e i renziani si fregano le mani soddisfatti per lo sventato pericolo. E incassano anche una mezza rassicurazione sui tempi del congresso (per Renzi è fondamentale che, come prevede lo Statuto, si celebri prima della fine dell'anno, e dunque prima della sua eventuale scelta di ricandidarsi a Firenze): «Non abbiamo nessun interesse ad andare oltre la fine di quest'anno», ha spiegato Epifani, «perché l'anno prossimo ci sono scadenze elettorali: amministrative ed europee». Esulta il senatore renziano Andrea Marcucci: «Congresso nei tempi, regole entro un mese e candidato premier che può essere o meno segretario. Buona la prima della commissione elettorale».
Al Nazareno, però, c'è chi fa notare che dire che il congresso verrà «convocato» entro l'anno non vuole dire che si concluderà entro l'anno: una parte non irrilevante del partito, bersaniani in testa, preme perché siano prima celebrati i congressi di circolo, di federazione provinciale e di federazione regionale, per poi arrivare solo alla fine alla sfida tra i candidati alla segreteria nazionale. Un modo per imbrigliare Renzi ancor prima che metta piede al partito. «Separare i congressi locali da quello nazionale ha un solo scopo: tenere il controllo del Pd e dei suoi finanziamenti dal livello regionale a quello cittadino, e condizionare il futuro leader nazionale, il quale dovrà sempre fare i conti con questi organismi dirigenti. Un generale senza esercito insomma», spiega il renziano Domenico Petrolo. Senza esercito, e senza cassa.
E intanto scende in campo anche Massimo D'Alema, che cerca di rimettersi al centro dei giochi nel Pd. E guarda con benevolenza ad una futura leadership di Renzi («È l'unico che può far vincere il centrosinistra», spiega da tempo ai suoi interlocutori). Ieri ha riunito in un seminario tutte le anime del partito (Fabrizio Barca e il renziano Dario Nardella, la Finocchiaro e il bersaniano D'Attorre) e ha ribadito il suo sostegno alla candidatura di Gianni Cuperlo: «E un mio candidato non ha mai perso il congresso», ha sottolineato. «Non vorrei interrompere la statistica», ha ribattuto ironico Cuperlo.
Il tema del congresso, ha poi precisato D'Alema, «non può essere la ricerca di un leader futuro, in grado di vincere le elezioni nell'anno in cui verranno. Sarebbe assurdo e autolesionistico, visto che oggi esprimiamo il premier in carica dedicare un intero congresso a come sostituirlo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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