La vista corta di Tosi: pensa che l'Italia sia tutta come Verona

La vista corta di Tosi: pensa che l'Italia sia tutta come Verona

N acht der langen Messer. Meglio conosciuta, perché così passata alla storia, come «la notte dei lunghi coltelli» di hitleriana memoria. La definizione, riconosciamolo, prima di deragliare negli equivoci, è un tantino esagerata ma è un dato di fatto che, un attimo dopo a quello in cui i risultati usciti dalle urne sono apparsi chiari, nella Lega sono cominciati i primi ululati, i primi rimbrotti e le prime, reciproche, accuse. Soprattutto laddove la Lega si chiama Liga, in Veneto.
Un luogo sicuro e ospitale per le camicie verdi, una cassaforte di voti, dove è sempre cresciuta prosperosamente, prima della clamorosa débâcle registrata in questa tornata elettorale. E qui sta il punto. A qualcuno, mettiamo, uno a caso, il segretario della Liga, nonchè sindaco di Verona, Flavio Tosi, non è piaciuta granché quella formula magica che ha permesso di portare il segretario nazionale, Roberto Maroni, sullo scranno di governatore della Lombardia e di sospingere, nel contempo, Silvio Berlusconi verso una clamorosa rimonta, a dispetto di tutte le previsioni della vigilia. Una formula, e un asse di ferro che hanno spinto, con grande soddisfazione, lo stesso Maroni a sintetizzare il successo di questa scelta nella significativa frase: «Missione compiuta». E che, ancora una volta, come è accaduto in pratica, dal 1994 ad oggi, si è rivelata vincente portando e sempre e comunque l'alleanza Pdl-Lega a conquistare l'obiettivo prefissato.
Ma resta il fatto che il sindaco Tosi, forse tradendo una visione un po'miope della politica, che mette Verona al centro dell'Italia e del mondo, e non gli consente di inquadrare nella giusta prospettiva le strategie politiche di portata nazionale, davanti ai primi sconfortanti dati ha sbottato e da ore va ripetendo un refrain un po' noioso: «Non lo nego l'abbiamo pagata cara. Il travaso principale, da noi a Grillo, è avvenuto proprio qui da noi. Avevamo di fronte due strade. La prima era correre da soli. Se l'avessimo fatto per noi il risultato sarebbe stato molto più largo, perché il Movimento 5 Stelle non ci avrebbe portato via così tanto. Abbiamo pagato un prezzo altissimo perché con noi c'era ancora Berlusconi. Sapevamo bene che sarebbe andata così, l'avevamo messo in conto fin dall'inizio».
Tesi di Flavio Tosi. Tesi discutibilissima se si considera che, a rimbeccarlo per primo ci ha pensato, ieri, senza mezzi termini, il governatore leghista del Veneto, Luca Zaia: «Tosi aveva il compito di ricucire un partito spaccato in due come una mela. Invece si è arrivati a fare i prigionieri e una ferita è stata trasformata in cancrena». Non solo. Zaia, auspicando che Maroni resti segretario federale, per «porsi come figura di garanzia soprattutto rispetto al Veneto», boccia seccamente la proposta dal sindaco di Verona, di allargare i confini della Lega per farla diventare una sorta di Cdu bavarese.
Tosi incassa? Macché, nemmeno per sogno. Il sindaco di Verona replica e bacchetta pure il «suo» governatore. «Chi ha a cuore il movimento - ha dichiarato ieri Tosi, rispondendo alle domande di una televisione locale- non fa polemiche sui giornali. Ma in democrazia uno fa ciò che vuole. Perdere, comunque, tempo in polemiche pubbliche vuol dire sottrarre energie al lavoro sul territorio».
In ogni caso, bontà sua, ha tenuto a precisare il sindaco di Verona: «Anche dopo il risultato elettorale, che in Veneto ha visto il Pdl sorpassare la Lega non c'è ragione di pensare ad un rimpasto in Regione o che Zaia non possa concludere il suo mandato»
Frizioni e scintille che piovono inevitabilmente sulla scrivania di Roberto Maroni.

Che però minimizza: «Sono le cose normali della vita. Dopo un successo come quello ottenuto in Lombardia sono problemi che si risolvono in un secondo. Nei prossimi giorni incontrerò tutti e risolveremo tutte queste piccole questioni».

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