E dunque lo stato della guerra civile latente e mai sospesa fin dall'inizio dell'arrivo di Craxi sulla scena politica (è da allora che dura la crociata che dopo aver eliminato il leader socialista è arrivata finalmente alla annunciata eliminazione del suo successore Berlusconi) è al suo nodo.
Facciamo come si fa quando si dimostra un teorema in geometria. E allora, postulato numero uno: in Italia da vent'anni una parte spesso maggioritaria dell'elettorato è rappresentata - per libera scelta dell'elettorato - da uno ed un solo uomo politico, e voi sapete chi è. Sarà un bene, sarà un male, è un dato di fatto.
Secondo postulato, che in verità è una costante statistica: in Italia, come sapevano e scrivevano consapevolmente (...)
(...) Gramsci, Togliatti e persino Berlinguer, la maggioranza è contraria a un governo di sinistra. Attenzione: non è necessariamente «di destra» ma semplicemente non ne vuole sapere, mai e per nessun motivo, di un governo guidato da uomini e programmi di sinistra.
Questo accade perché gli italiani avvertono dall'inizio dello Stato unitario una mancanza di rispetto per il singolo individuo cittadino, per la sua libertà anche un po' anarchica, per chi cerca di organizzare la vita contro la soffocante burocrazia, il quasi sempre arbitrario sistema giudiziario, contro il dominio delle parole d'ordine impartite dal messale di una centrale che con grande abilità ha istituito l'egemonia del giudizio, dell'etica, dell'estetica.
Gli italiani che soffrono per queste carenze, non ne vogliono sapere di un governo di sinistra, cascasse il mondo. E sono in genere, almeno nelle intenzioni, una maggioranza.
Che cosa ne consegue? Provate a mettervi nei panni degli strateghi della sinistra e provate a dare risposta a questa semplice domanda: come potremo mai portare dalla nostra parte la maggioranza di un'opinione pubblica che nei numeri ci è avversa, se non spaccando l'elettorato borghese, anarchico, liberale che d'istinto ci rifiuta? La risposta è già nella domanda: la sinistra vince se e soltanto se riesce a insinuare un cuneo in quell'elettorato grande e variopinto che le è contrario destabilizzandolo e sottoponendolo a traumi.
La politica del cuneo andava bene finché esisteva una destra tenacemente neofascista che ancora non era sdoganata e che viveva fuori le mura dell'arco costituzionale. Poi è sopraggiunto l'inatteso collasso del sistema sovietico che ha mandato in frantumi la ragion d'essere di un partito-contenitore come la Democrazia cristiana e ha colto in contropiede un Partito comunista sempre in mezzo al guado, capace soltanto di cambiare nome ad anni alterni.
Ma in soccorso dell'ascesa dei post comunisti ecco che arrivò, architettata in parte negli ambienti «democrat» americani, una operazione di pulizia/polizia nazionale e internazionale chiamata Mani pulite. Fu una grande finzione ad uso del circo popolare.
Ne volete una prova? Io nel 1980 documentai con l'intervista di Franco Evangelisti l'esistenza e la tollerata permanenza della corruzione politica, ma nessun magistrato «democratico» mosse un dito. Avevamo un reo confesso, il primo partito sotto accusa, neanche un fascicolo in procura, ma fu silenzio assoluto. Tredici anni dopo, quando piacque ai registi dell'operazione, fu eretta la ghigliottina in piazza. Il vecchio Pci, ora Pds, se la cavò meravigliosamente benché fosse stato un evasore fiscale permanente in barba a ogni legge. I miliardi che pompava da Mosca venivano riciclati (fonte: Francesco Cossiga, testimone ed attore) direttamente allo Ior vaticano, sotto l'occhio vigile di agenti americani della banca federale che controllavano l'autenticità delle banconote che Ponomariov dava in valigia all'inviato delle Botteghe Oscure. Fascicoli? Processi? Condanne? Condanne definitive in Cassazione? Ma neanche una contravvenzione per divieto di sosta. Sapevano, ma avevano fatto finta di non sapere. Quando poi scattò quella che doveva essere «l'ora X», la Prima Repubblica fu portata al macello.
Ma proprio quando tutte le premesse per far finalmente vincere la sinistra erano state preparate, ecco che ti arriva questo rompipalle di un brianzolo, uomo d'affari e creatore di novità come le televisioni commerciali che fece saltare tutto per aria. Il Cavaliere, come ho accertato da testimonianze dirette, non ne voleva neppure sapere, ma fu assediato da Cossiga, il segretario del Pli Altissimo e da un uomo della Fiat, credo fosse Rossignolo, in rappresentanza di Gianni Agnelli il quale pronunciò la famosa realistica e cinica battuta: «Se vince, vince per tutti. Se perde, perde da solo».
Arrivato questo outsider con una clamorosa «discesa in campo» non c'è stato più nulla da fare: la sinistra dopo molte sconfitte e alcune vittorie di Pirro, anzi di Prodi, ha capito che se non faceva fuori Berlusconi, l'uomo non l'idea, non avrebbe vinto mai. Come i pani e i pesci della parabola, i guai giudiziari dell'outsider si moltiplicarono per mille e così i processi. Per la legge detta «dei grandi numeri» prima o poi lo sconsiderato guastafeste ci avrebbe lasciato le penne. E così è stato.
Il secondo postulato è quello più noto, ma anche il più rimosso: è soltanto la persona Silvio Berlusconi che possiede in cassaforte la delega di quella parte del voto degli italiani, a disporre di quella che oggi si chiama «agibilità politica», ma che più semplicemente è il comando, la leadership, il carisma, chiamatelo come vi pare. Molti anni fa descrissi questo fenomeno con un articolo intitolato «Un uomo solo al comando» che poi diventò uno slogan. La sinistra si strappava i capelli gridando che un uomo solo al comando non andava bene e anche da destra si elevavano alti lai, specialmente da parte di chi forse aspirava legittimamente di ereditare il comando.
Risultato: la sinistra ha imparato da anni che se vuole far fuori «la destra» (chiamiamola così per semplificare) doveva prima far fuori un solo uomo: il deprecato Cavaliere. Non sto a fare la storia delle arti usate per arrivare al risultato, e nemmeno dei molteplici errori commessi da Berlusconi nel fornire munizioni ai suoi nemici. Ma alla fine quel che conta è la massima di Stalin che io adoro per sincerità: «Se c'è un uomo, c'è problema. Eliminato l'uomo, finito il problema».
Così è stato allestito il grande focone con la pentola per cannibali in cui cuocere a fuoco lento Berlusconi, accompagnato dal canto delle sirene destinato ai deputati e ai senatori del Pdl. Ecco il ritornello: «Dovete e potete vivere senza il vostro leader: dividetevi e noi vi daremo la patente di VPd, vero partito democratico».
Il trucco è sotto gli occhi di tutti: poiché l'unico elemento dell'identità collettiva del Pdl è l'identità singola del suo leader e fondatore, chiedere l'eliminazione di quell'identità significa chiedere, con soave gentilezza, il suicidio assistito: «Sparatevi e diventeremo amici». Veramente gentili.
Poi c'è la famosa questione del «bene del Paese», così espressa: «Per il bene del Paese questo governo dovrebbe durare». È una balla anche questa perché nel Pd la maggioranza cerca di far fuori Letta mentre massaggia Renzi o un altro candidato segretario. Ma «per il bene del Paese» si fa finta di nulla.
Se le premesse sono solide, la conseguenza non può che essere una: la capra campa, se e soltanto se si consente al Pdl di essere e seguitare ad essere quel che è e non quello che non è: un partito che ha come unico e solo punto di riferimento quell'«uomo solo al comando». Se si toglie quell'identità, la capra muore, miraggio che droga la sinistra perché non vede l'ora e perché sa che la maggioranza degli elettori impiegherebbe anni prima di trovare di nuovo l'unità necessaria per battere il Pd.
Tutto il resto è panna montata, aria fritta e chiacchiere da bar. La storia delle sentenze che «vanno rispettate» è una balla illiberale perché tutti noi critichiamo quanto ci pare e piace qualsiasi sentenza. Che le sentenze vadano «eseguite» (Esecuzione! Quale dolce parola col boia incorporato) è un'altra balla come dimostrano le numerose eccezioni del passato a cominciare da quella per Moranino, ricordata dal senatore Malan, che non fu una questione di guerra partigiana ma di plurimo omicidio politico a guerra finita. Vuoi mettere quanto è più nobile una strage seriale di un supposto evasore fiscale?
E dal 9 settembre si apre la questione del voto del Senato sulla decadenza di Berlusconi in base alla legge Severino sulla quale il disaccordo dei costituzionalisti è totale e dunque non si tratta affatto di una faccenda chiara.
Se la decisione la deve prendere il Senato con un voto come prescrivono leggi e regolamento, allora vuol dire che è prevista la libertà di voto e dunque anche l'ipotesi che la decadenza possa essere sovranamente respinta per libera determinazione del sovrano Parlamento. Chi dice che i senatori «devono» votare sì perché esisterebbe un obbligo, mentono dal momento che se esistesse un obbligo non si voterebbe. Ancora una volta, fumo negli occhi, strepiti di piazza e chiacchiere da bar.
E poi l'Imu: è ovvio che la cancellazione dell'Imu è una richiesta tassativa di uno dei tre contraenti il patto ed è ovvio che le altre parti riluttano a consentirlo per non consegnare un'arma elettorale al Pdl. Non ci sono i soldi? È ovvio che vanno reperiti con tasse diverse e appropriate, a cominciare da generi voluttuari e velenosi.
Ma il punto è: una Imu selettiva, buona per i ricchi ma non per i poveri, non si chiama Imu ma «patrimoniale». E per di più una patrimoniale assassina perché basata soltanto sul valore di un appartamento che negli anni si può essere rivalutato anche di dieci volte, senza che per questo si siano rivalutate le entrate mensili di una famiglia. Dunque, sarebbe una tassa del genere «ammazza il ricco», anche quando il ricco non c'è. Chi vuole una patrimoniale dica «Voglio una patrimoniale» e poi se ne parla: non si va avanti con una furbata demagogica come questa.
Dunque, appare del tutto evidente che tutte le mozioni dei sacri principi di legalità, moralità, decadenza, tassa per (finti) ricchi e tutto il tamtam che scuote pagine e televisioni, ha uno ed un solo scopo: giustiziare non soltanto la persona di Silvio Berlusconi, ma ficcare un paletto nel cuore del partito potenzialmente maggioritario e berne il sangue prima di arderlo e spargerne le ceneri al vento. Banale epilogo: se la sinistra ha davvero a cuore «il governo del Paese», che non sta meno a cuore ai suoi dirimpettai, faccia l'unica cosa libera e lecita che può fare: voti al Senato contro la decadenza del leader alleato al governo e avversario elettorale, dimostrando la sua buona fede. Si tratta di un esercizio di libertà e di responsabilità, senza ricorrere ai soliti effetti speciali, ormai tediosamente banali.
segue a pagina 6
di Paolo Guzzanti
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