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Voce roca e occhi fissi. Più che un discorso è un'orazione funebre

Seduto a un tavolinetto, il presidente sceglie un tono dimesso. Quando sembra rianimarsi, ci si aspetta il colpo di scena delle dimissioni che invece non arriva

Voce roca e occhi fissi. Più che un discorso è un'orazione funebre

L'annuncio di un grave lutto che ha colpito la nostra famiglia. Un giorno mio padre mi chiamò nel suo studiolo per dirmi che ormai, proprio la persona che dovevamo riconoscere come punto di riferimento della nostra complessa unità famigliare, era morta. Mi parlò della nonna, della zia Maria, della cugina Elena (tutte donne), che si sarebbero trovate in gravi difficoltà affettive e economiche, verso le quali avremmo dovuto avere molto riguardo. Il presidente Giorgio Napolitano mi ha ricordato mio padre, in quel triste giorno, da cui non ci saremmo più ripresi. Soltanto che da mio padre avevo capito subito chi era morto, da Napolitano no. Lo dico con assoluto rispetto per il nostro presidente che, appunto, mi ricorda mio padre e il grande rispetto che provavo per lui, in particolare in quel giorno funereo.

Certo, lo studiolo di casa mia non aveva niente a che vedere con il salone del Quirinale, ma sono convinto che, se avesse potuto, il presidente mi avrebbe chiesto di tenere il suo discorso di fine anno nella modesta stanzetta di mio padre. Ha fatto comunque quello che poteva, il presidente: via la lussuosa scrivania, lasciata in secondo piano al buio, meglio mostrarsi seduti a un sobrio tavolinetto. Pallido, volto tirato, quattro fogli posati di fronte a lui senza eleganza, senza essere raccolti in una cartelletta, carta riciclata, si doveva supporre. Napolitano ci rivolge sommesso la sua orazione funebre, e noi che lo ascoltiamo ci immaginiamo che sia morto questo ma anche quello, non sappiamo bene chi ma qualcuno certamente se n'è andato. Ci verrebbe da dirgli: coraggio presidente, ce la faremo, dopotutto è solo morto qualcuno... è la vita. Ma non possiamo farci niente: la voce di Napolitano è monotona, nessuna gestualità, gli occhi fissi, atterriti, alla telecamera.

Una telecamera lo riprende con un primo piano doloroso, che si alterna con un'altra che invece ce lo mostra in un campo lungo, in cui appaiono le nostre bandiere che sembrano a mezz'asta, anche se non lo sono.

Napolitano continua a fissare sempre dalla parte di quella che lo ritrae in primo piano e non segue con gli occhi la telecamera che lo riprende dal suo lato destro, quindi senza guardare i telespettatori. Effetto drammatico di totale disorientamento espressivo nella comunicazione del lutto. Ma a un certo momento ecco che il presidente si muove (prima muoveva soltanto le labbra), si appoggia con forza ai poggioli della sedia, si sporge in avanti come per alzarsi. Il presidente se ne va: «Si fermi presidente» ci verrebbe da dirgli «ci faccia almeno capire chi è morto!». Il presidente non se ne va, rimane seduto al suo posto, ma cambia tutto. Non c'è niente da fare: i napoletani hanno il teatro nel sangue.

Le mani prendono coraggio e incominciano a gesticolare, la voce assume un vigore fino allora sconosciuto, alternando invettive a suadenti e incoraggianti consigli. È la Rai a rovinargli il coup de théâtre sempre con quei noiosi primi piani e campi lunghi con le bandiere a mezz'asta, che disorientano il presidente. Adesso Napolitano appare come un giocatore di carte che in un colpo solo si è fatto soffiare il settebello, la primiera e gli ori. La partita è irrimediabilmente persa, e il presidente non la prende con filosofia. Bravo, si arrabbi, ci verrebbe da dirgli, ma non se la prenda con noi se ha sbagliato a scegliere il suo compagno di gioco. Una pausa un po' più lunga del solito: adesso se ne va davvero. E invece no: ma se ne andrà sicuramente presto perché ci fa capire che si è proprio scocciato di giocare in coppia con degli incapaci che gli fanno perdere una dopo l'altra le partite anche facili.

Ha perfino nostalgia del Papa, unica persona citata dal presidente, eccetto quei poveri sciagurati ricordati all'inizio del suo luttuoso discorso. Forse avrà invidia perfino delle belle riprese gioiose della televisione vaticana che immagina ci porteranno in casa il volto sorridente di Papa Francesco. E aveva proprio ragione a immaginarselo. Infatti ci saluta alla svelta cercando di incoraggiarci con parole benauguranti e sostenute nel tono ormai divenuto un po' roco.

Ma purtroppo è poco convincente: troppo forte ci rimane impresso il senso luttuoso del suo discorso, e la sua figura troppo seccata per aver perso la partita.

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