Roma - Il voto di scambio non è uguale per tutti. Promettere l'abrogazione dell'Imu e la restituzione di quanto pagato nel 2013 è compravendita di consensi. Garantire lo sbianchettamento dei ticket sanitari un'onesta promessa elettorale. Qual è la differenza? Agli occhi di molti cittadini, nessuna. Agli occhi della sinistra una soltanto, ma fondamentale. Il primo impegno lo ha preso Silvio Berlusconi, leader della coalizione di centrodestra; il secondo lo ha assunto invece Pier Luigi Bersani, candidato premier per il centrosinistra.
Lo smacchiatore di giaguari lo ha detto ieri: «Il ticket sulle visite specialistiche è una delle tasse più odiose e ingiuste perché ricade su chi è più malato. Per questo noi vogliamo abolire il ticket per sollevare da una spesa aggiuntiva quei cittadini che si devono curare». Ma quanto vale questa abolizione? «I cittadini - fa di conto il leader del Pd - spendono di tasca propria 834 milioni l'anno per pagare i ticket sulle visite specialistiche. La sanità pubblica spende ogni anno 790 milioni di euro in consulenze, la maggior parte delle quali sono inutili, come ha denunciato la Commissione parlamentare d'inchiesta sul Servizio sanitario nazionale presieduta da Ignazio Marino». Quindi abbattendo le consulenze si finanzierebbe in parte la cancellazione del ticket. Un'idea populistica e raffazzonata che non convince il segretario del Pdl Angelino Alfano: «Mi sembra una proposta generica, con poche possibilità di attuazione. Quello che occorre fare è dare, anche nel campo della sanità, una possibilità di maggiori detrazioni dall'imponibile per tutte una serie di spese. È il modo migliore per agevolare le famiglie e contrastare l'evasione». Una strategia molto diversa da quella di Bersani, che la riassume così: «Noi siamo per il mantenimento di un servizio sanitario nazionale pubblico e per tutti. Di fronte alla malattia non c'è per noi nè povero nè ricco. E questo è il modo giusto per garantirlo: non con tagli lineari, ma con più efficienza, guardando davvero nelle pieghe dei conti della sanità ed eliminando gli sprechi e le spese superflue».
Ma il problema non è l'attuabilità o meno delle proposte, su cui naturalmente si può discutere, bensì le diverse reazioni, che sono un dato di fatto. Quando Berlusconi il 3 febbraio scorso a Milano si impegnò per la prima volta alla restituzione dell'Imu, apriti cielo. Pier Luigi Bersani per primo si scandalizzò così: «Io non ci sto, non vado nei prossimi 15 giorni in giro a promettere il rimborso dei viaggi di nozze». Mario Monti parlò esplicitamente di «voto di scambio», arrivando a paragonare il Cavaliere allo storico sindaco di Napoli Achille Lauro: «Non è la prima volta che qualcuno cerca di comprare il voto degli italiani. Un cinquantennio fa Lauro prometteva un chilo di pasta, oppure dava una scarpa prima e l'altra dopo, a voto avvenuto. Semmai è la prima volta che qualcuno cerca di comprare in modo scientifico il voto degli italiani con i soldi degli stessi italiani, con i soldi dei buchi di bilancio lasciati da lui».
Qualche giorno dopo il magistrato Piero Grasso, candidato del Pd, in un'intervista al Corriere della Sera fu chiarissimo: «La proposta di restituire i soldi dell'Imu credo che equivalga a una sorta di voto di scambio, al solo scopo di ottenere consenso». E poi ieri la denuncia di Ingroia, di cui parliamo in questa pagina. Una reazione ridicola se non assurda.
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