Gli avvenimenti di Genova dimostrano che il Paese - la sua politica e la sua pubblica amministrazione - è in grado di assumere esclusivamente decisioni sbagliate, destinate a perpetuare una situazione di dissesto finanziario e di inefficienza. L'azienda di trasporti comunale da anni versa in condizioni di bilancio pietose: perdite, sempre perdite. Cattiva gestione? È probabile. Ma, non avendo esaminato i libri contabili, ci asteniamo da giudizi impietosi.
È un fatto che un'impresa, pubblica o privata che sia, se sborsa più di quanto incassa va in malora. L'unico rimedio è affidarne il comando a una persona con la testa sulle spalle capace di raddrizzare i conti, anche a costo di ridurre il personale (di solito sproporzionato per eccesso rispetto alle effettive necessità) e, magari, abbassare la qualità del servizio. A scapito dei cittadini? Sissignori. Non esiste altra ricetta in questi casi: adeguare l'attività alle disponibilità economiche è obbligatorio. Se non si adotta simile criterio, si corre verso il fallimento.
È esattamente quello che è accaduto nel capoluogo ligure. I ricavi dell'azienda municipale non coprono le spese. Cosicché il sindaco e la giunta avevano pensato di vendere la baracca, tutta o in parte, ai privati, notoriamente attenti alle ragioni della cassa. Niente da fare. Lavoratori e sindacati si sono opposti, desiderosi di rimanere alle dipendenze dell'ente pubblico, ben consapevoli che esso è di manica più larga.
La vertenza nel giro di poco tempo si è inasprita, e a un certo punto lo scontro è stato inevitabile. Le maestranze, tanto per non smentirsi, hanno organizzato proteste di piazza e addirittura una serie di scioperi, provocando una paralisi totale dei trasporti che ha mandato in bestia i cittadini. Come spesso accade in circostanze del genere, hanno vinto i lavoratori. Nel senso che il Comune ha ceduto l'impresa non ai privati, bensì alla Regione, scaricando sulle spalle di questa ogni debito e ogni onere. Assurdo.
Poiché entrambi gli enti in questione sono alimentati dal denaro dei cittadini, va da sé che ai fini pratici non cambia nulla. Anziché colmare i passivi dell'azienda tranviaria attingendo alla tasca destra dei genovesi, i signori politici attingeranno a quella sinistra. Muta cioè il nome dell'ente pagatore, ma a sganciare continuerà a essere il popolo.
Alla balorda conclusione della vicenda si è giunti dopo giornate tribolate durante le quali, mentre le trattative procedevano, i mezzi pubblici non circolavano e la gente subiva le nefaste conseguenze. A nessuno è passato per la mente di valutare un fatto lapalissiano: o le perdite dei trasporti - non importa che siano sulla gobba del Comune o su quella della Regione - si compensano in fretta tagliando i costi e incrementando il fatturato oppure graveranno in eterno su Pantalone.
Lo stesso avviene a Roma: il governo (di qualsiasi colore) non si preoccupa mai di tenere i conti in ordine, controllando che le uscite non superino le entrate, ma si affretta ad aumentare le tasse per fronteggiare la crescita inarrestabile della spesa.
La storia che abbiamo raccontato è paradigmatica del disastro italiano, frutto di una costante irresponsabilità degli
amministratori pubblici, periferici e centrali. I problemi non si risolvono, ma si scaricano su un ente o su un altro nella speranza che qualche santo provveda al miracolo. Intanto si sente nell'aria un gran puzzo di Grecia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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