Un intero palazzo sul banco dei testimoni: «Giovanni, il terrone, picchiava il suo cane»

Il cane, alla fine, c’entra poco. Si chiama Alain, è un pastore tedesco. Nell’agosto di due anni fa, le vecchiette hanno firmato in blocco una denuncia in difesa di Alain. Trentadue firme per dire che «quello lì» picchia il cane - con i calci, la cinghia, i manici della scopa - e poi lo tiene chiuso in balcone al caldo, tra gli escrementi, non lo porta mai giù. Un inferno. Pochi giorni dopo arriva la protezione animali, e anche se il cane sembra stare benone lo porta via, sventolando un ordine del pm di turno.
Ieri arriva il processo. L’imputato Giovanni è in gabbia, perché nel frattempo l’hanno messo in carcere per un’altra storia: che non c’entra con quella del cane, se non per rafforzare nel branco delle vecchiette la crudele convinzione di aver visto giusto nel diffidare del terrone del secondo piano. Come spesso accade nei processi da poco, l’udienza - fissata alle 9 - inizia ore ed ore dopo. Le donne sopportano l’attesa senza cedimenti. Per tutte, è la prima volta in tribunale. Ma sanno già tutto. Hanno visto Forum.
Poi vanno a sfilare. E si scopre che in realtà a vedere Giovanni che picchiava Alain è stata una sola. Le altre lo hanno sentito dire dall’amica, dalla vicina, da quella del piano di sopra. «Mi sono affacciata e tutti gridavano "piantala, piantala"». Interrogate, balbettano e ritrattano. «Lo ha picchiato con la scopa». Ma lei l’ha visto on i suoi occhi? «No, ma lui aveva la scopa in mano e poi ho sentito il cane piangere».
Si scopre che nel palazzone di viale Ungheria 21/4 ogni vecchietta aveva il suo motivo per odiare Giovanni. Una spiega che «quello lì» portava il cane in cortile, «ma il regolamento lo proibisce, io il mio cane non ce l’ho mai portato». Una dice che lei ha sempre malditesta, allora ha chiesto a Giovanni che abita al piano di sopra di mettere i feltrini sotto le sedie e lui se n’è fregato. Un’altra spiega che «io ci vedo poco, il suo cane ha fatto la cacca sulle scale e io cio sono scivolata sopra». Cose di questo genere. E poi l’accusa più grave di tutte, quella di essere un balordo, un fannullone. Che la sciura Annamaria sintetizza mirabilmente: «Quella è gente che dorme di giorno e vive di notte».
Lui, dalla gabbia, freme, si arrabbia, ogni tanto sbotta. «Il mio cane stava benissimo, è quando l’hanno portato via che me l’hanno rovinato». Il processo va avanti con i suoi ritmi, la prossima udienza si farà a gennaio.

Alle vecchine vedere Giovanni in gabbia si vede che fa piacere. Ma un po’, in fondo, forse sentono la sua mancanza. Di chi si potranno impicciare adesso, nei pomeriggi che non finiscono mai, dietro gli spioncini di viale Ungheria?
Luca Fazzo

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