«Interpreto Filippo II da 27 anni Memorabile l’edizione di Karajan»

Milano Dici «Basso italiano», e pensi subito a lui. A Ferruccio Furlanetto, 59 anni, friulano con residenza a Vienna, e una carriera d’oro che lo vede orbitare nei quattro teatri di punta, quindi di Londra, Vienna, New York e Milano. Sarà lui Filippo II, il protagonista di Don Carlo di Giuseppe Verdi, l’opera che il 7 (più l'anteprima di stasera) inaugura la stagione del teatro alla Scala. E ci parla del suo ruolo a poche ore del grande appuntamento scaligero.
Lei è Filippo II da 27 anni. E’ memorabile l’edizione con Herbert von Karajan. Che ricordo ha?
«Era l’86, e quella produzione ha cambiato la mia vita. E’ stato come aver vinto alla lotteria. Fui convocato 12 ore prima della rappresentazione, era una sostituzione. Prima di andare in palcoscenico, Karajan mi disse: “Nel IV atto, tu canta l’aria, io t’accompagno“. Non m’accadde più di sentirmi dire questo».
Umiltà che poco si concilia con il ritratto del Karajan imperioso...
«Difficile ritrarlo. Apparteneva ad un altro pianeta. A Salisburgo invitava i migliori colleghi, lanciava i giovani rampanti d’allora, Abbado, Muti, Levine. Per primo intuì la forza della tv, del cd, del dvd. Dopo l’audizione del 1981 mi spiegò che per tre anni sarebbe stato impegnato in opere tedesche, e poi mi avrebbe chiamato. Mantenne la parola».
Chi è il Filippo II che ci propone alla Scala?
«Un padre, un uomo politico, un bigotto succube della Chiesa».
Lei sta più all’estero che in Italia. Da fuori, come si è guardato alla Scala scioperante?
«Dopo Alitalia questo non ci ha aiutato. Solo a Parigi sono stato coinvolto in scioperi, altrove non è mai accaduto nulla. Era giusto condurre la battaglia nelle sedi competenti. Cose come queste quando accadono in momenti in cui tanta gente fatica ad arrivare a fine mese, suonano come schiaffi».
L’anno prossimo compie sessant’anni. E la voce è sempre quella. Qual è l’elisir di lunga vita?
«Il repertorio giusto e l’aver cantato per i primi 15 anni un sacco di Mozart: un balsamo per la voce».
Da ventenne era un cantante pop. Come guarda al passato?
«Mi divertii, incisi pure due dischi, uno con canzoni di Scott McKenzie. Però, da ragazzo di campagna, ero spaventato da quell’ambiente dove circolava droga, un mondo così sregolato. Alla fine del liceo classico, mollai il pop e mi iscrissi a Scienze forestali. A 22 anni, mi feci sentire dal maestro Campogalliani, e dopo un paio d’anni ero pronto per l’opera».
Quindi niente Conservatorio?
«Esatto, non ho un diploma. Ho studiato privatamente. La mia sostenitrice era la nonna materna, mi pagava le lezioni. Ai miei genitori va il merito di aver assecondato un figlio che optava per l’arte. Ora che sono padre, riconosco che ci vuole del coraggio».


Sempre appassionato di golf e di macchine d’epoca?
«Ho un po’ rallentato sul fronte del golf. Il parco auto, a Vienna, invece s’è allargato. Ora ho una Jaguar 1954, un’Alfa Romeo spider del 1963, una Ferrari Dino del 1971, una Triumph del 1949 e una Bentley del 1951, questa però è in comproprietà».

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