Intervista Virdis

Più difficile segnare con la marcatura a uomo

Intervista Virdis

Dici Virdis e pensi gol. Sono stati 101, eccone un altro del club degli imperdibili. Oggi il signor Pietro Paolo, un altro cabeza blanca della storia calcistica, un ex milanista e tante altre cose, resta un buongustaio del pallone. Non a caso il suo angolo milanese di vini e cucina si chiama il “Gusto di Virdis“. E in negozio si parla di calcio e gol.
Virdis, ricorda il gol numero 101?
«No, nemmeno se ci penso. Allora si celebrava meno». Fu un rigore contro l’Atalanta. Virdis giocava nel Lecce.
Oggi invece per Ibra...
«Mi piace la celebrazione, magari senza eccessi. Certi numeri sono importanti».
Un po’ di gelosia per i suoi 101?
«No, la storia va avanti. L’importante è esserci: questo mi fa piacere».
Più difficile far gol oggi o ai suoi tempi?
«É sempre complicato. Oggi le regole ti aiutano di più. Per esempio, vietare la palla indietro al portiere ha sveltito molto. Si velocizzano i tempi. Poi si gioca a zona, quando c’era la marcatura a uomo era più dura».
Ibra è un attaccante moderno o antico?
«Ibrahimovic è il Giocatore, è magnifico per completezza. Fa di tutto: gol, assist, fisicità, eleganza e tecnica, buon tiro con i due piedi, forte di testa. Quest’anno poi ci ha dimostrato di avere raggiunto la maturità nel giocare per i compagni, insomma nell’assist».
Qualcosa in cui Virdis era più bravo?
«Forse ero più forte di testa, anche se lui ha 15 centimetri più di me. A fine carriera stazionavo di più in area, prima mi piaceva muovermi come lui, amavo svariare, girare intorno alla prima punta».
Ha giocato con un simil Ibra?
«Facile dire Marco, inteso come Van Basten. Stesse movenze, anche se Marco era più cannibale in zona gol. Ecco credo che nei momenti di reale bisogno la squadra abbia bisogno che Ibra resti di più in area. L’assist deve essere una ciliegina, non il suo fine di gioco.

Fra l’altro ho visto che tira bene i rigori».
E lei come tirava?
«Negli ultimi tempi mi divertivo ad affinare la tecnica per guardare il portiere fino all’ultimo e mandare la palla dall’altra parte».
Risultato?
«Me la cavavo bene».

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