Intesa e Unicredit «salvate» da S&P. Non dalla Ue

Il sistema bancario italiano ha un profilo di rischio analogo a quello americano. Parola di Standard & Poor’s che martedì sera a New York (era notte in Italia) ha rivisto i rating di 37 istituti finanziari mondiali basandosi sul nuovo sistema di valutazione Bicra, acronimo inglese di «valutazione del rischio-Paese dell’industria bancaria». Il risultato sorprendente è che colossi come Bank of America e Goldman Sachs e Citigroup hanno visto il rating tagliato da «A» ad «A-» con outlook negativo. La stessa sorte toccata a Jp Morgan (da «A+» ad «A»), mentre i nostri campioni nazionali, Intesa e Unicredit, hanno spuntato la conferma della loro valutazione «A» con prospettive negative legate a filo doppio a un possibile ulteriore downgrade del debito sovrano italiano.
Se la principale agenzia di rating mondiale ritiene affidabili le due maggiori banche italiane, perché l’Eba, l’Authority di vigilanza europea, e Bankitalia non cambiano prospettiva? Perché le banche italiane sono considerate in Europa meno affidabili e quindi obbligate a ricapitalizzarsi solo perché detentrici di titoli di Stato e non in quanto strutturalmente deboli?
Dopo le rimostranze degli analisti di Mediobanca, che hanno lanciato l’allarme credit crunch per effetto della cura imposta dall’Eba, questa volta è stata S&P a mettere in evidenza i difetti del sistema regolamentare europeo. Contro il quale il presidente dell’Abi, Giuseppe Mussari, sta battagliando per una profonda revisione di norme molto penalizzanti per il sistema Italia.
Norme che anche il presidente della Consob Giuseppe Vegas in un’intervista a Repubblica ha stigmatizzato parlando di «paradosso-Eba» perché «i titoli di Stato in portafoglio vengono considerati “tossici“ per le banche italiane, peggio di quanto non lo siano i subprime per le banche straniere». Uno spettro si materializza. «Se l’illiquidità del sistema porta al blocco dell’economia, allora non fallisce un singolo operatore, ma fallisce l’Italia», spiega il presidente della Commissione. Ed è proprio Standard & Poor’s a fornire una risposta. Da una parte, Bank of America e Goldman Sachs, due corazzate con problemi differenti. La prima è esposta al problema dei subprime e al deterioramento degli attivi; la seconda potrebbe essere colpita dalla recessione globale. Intesa e Unicredit, invece, sono giudicate abbastanza positivamente proprio in virtù della bassa propensione al rischio delle istituzioni finanziarie italiane, della loro capacità di raccolta attraverso la rete filiali e per l’elevato livello di copertura degli impieghi. Certo, il contesto macro italiano è preoccupante, ma la dimensione internazionale di Unicredit e la leadership domestica di Intesa consentono di guardare senza eccessive angosce al futuro. Anche perché Ca’ de Sass e Piazza Cordusio hanno già fatto i «compiti a casa» rafforzandosi patrimonialmente, facendo pulizia nel bilancio (Unicredit) e perseguendo un elevato livello di flessibilità finanziaria (Intesa Sanpaolo).
Insomma, il quadro è meno fosco di quanto venga dipinto in sede comunitaria.

Il funding per il 2012, a giudizio di S&P, non dovrebbe connotarsi drammaticamente proprio per l’attitudine tutta italiana al risparmio e anche per la possibilità di accedere al canale Bce. Il management dei due gruppi (Ghizzoni-Nicastro-Mustier da una parte e Cucchiani-Morelli-Micciché dall’altra) è giudicato molto positivamente.GDeF

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