Intesa Sanpaolo, India più vicina: possibile ingresso in un istituto locale

nostro inviato a Mumbai

Da Mumbai Intesa Sanpaolo guarda all’India più da vicino. Tanto vicino che potrebbe pure decidere di entrarci. «Nella zona compresa tra India e Australia ci abitano tre miliardi di persone: pensare di trascurarle sarebbe una follia». Così dice Giovanni Boccolini, responsabile banche estere del gruppo, in un incontro organizzato a Mumbai nell’ambito della missione Italia-India di questi giorni. Ed è questa la nuova dimensione di Intesa Sanpaolo, formato Superbanca, anche internazionale.
Per il momento non c’è nessuna acquisizione da annunciare, bensì il proposito di valutare l’ingresso con la quota massima consentita dalla legge indiana (5%) in una banca locale. Anche perché le richieste di aprire filiali dirette sono da escludere: «Ne rilasciano una dozzina l’anno per l’intero Paese». L’eventuale investimento è stimato nell’ordine dei 100 milioni, ma potrebbe essere effettuato anche in un altro Paese asiatico, a partire dalla Cina. Per ora Intesa Sanpaolo conta due uffici di rappresentanza in India e due filiali in Cina.
All’estero il gruppo post fusione vanta 34 miliardi di attivi, settemila clienti, 25mila dipendenti. E una posizione di leadership (che significa essere tra i primi 3-4 operatori locali) in molti Paesi dell’est europeo e del nord-Africa, laddove gli attivi bancari crescono di più (e in India crescono del 30% l’anno). In questo quadro Intesa Sanpaolo non intende operare all’estero solo come banca italiana al servizio del cliente italiano, ma anche come banca universale. E per Gaetano Micciché, responsabile corporate del gruppo, il compito comporta, per le imprese clienti, un «percorso virtuoso» che è il modello di riferimento: «Prima viene l’investment banking che consiste nel finanziare le idee, poi il merchant banking, in cui la banca stimola l’imprenditore a investire, anche con partnership, e infine il capital market, con operazioni di collocamento». Naturalmente questo «non vale solo per l’estero – dice Micciché – ma per tutti i clienti». In ogni caso l’area del corporate, con la nascita del nuovo gruppo, si è arricchita dei prodotti per il business, in modo da disporre di un sistema più efficiente per «seguire» il cliente.
Ma Intesa Sanpaolo, banca vocata per definizione allo sviluppo, punta a imporre anche una sorta di modello «culturale» per l’imprenditore che varca i confini italiani.

Nella convinzione che le strategie di delocalizzazione valgano solo se studiate per allargare il mercato: «Il più grande turnaround italiano, la Fiat, è stato fatto aumentando i ricavi, le prime righe del bilancio. Questa è la chiave». Quindi andare all’estero per stare sui mercati esteri. Non solo per produrre a basso costo e rivendere in casa. Che, alla lunga, non regge né paga.

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