Intesa torna sotto il 2% di Generali

da Milano

Passo indietro di Intesa Sanpaolo dalle Generali. Tecnicamente è accaduto il 17 gennaio, quando la banca milanese ha ridotto entro il 2% la propria partecipazione nella compagnia triestina, che fino all’1 ottobre scorso risultava pari al 2,214%. Lo si è appreso dalle comunicazioni della Consob.
La riduzione entro la soglia del 2% (che va comunicata per legge) è avvenuta a seguito della rinuncia da parte di Intesa Sanpaolo al diritto di voto relativamente a un pacchetto di titoli detenuto in pegno. Della quota del 2,214%, una percentuale vicina allo 0,4 era infatti detenuta a titolo di pegno, ma con i diritti di voto per Intesa. Ora i diritti sul pegno sono stati ceduti, anche se non è dato a sapere in che misura. In ogni caso la quota totale «votante» è scesa sotto il 2%. La novità, da un punto di vista sostanziale, è ininfluente. Intesa era salita oltre il 2% al momento della fusione con il Sanpaolo, ma in ogni caso la parte eccedente il 2% non avrebbe potuto votare. E questo per effetto delle norme sulle partecipazioni incrociate: Generali è azionista storica di Intesa e dopo la fusione ne detiene il 5%. Ora Intesa non potrà votare perché ha ceduto i diritti di voto eccedenti il 2%. Ma poco importa, dunque.
Quello che conta è piuttosto il risultato «politico» di tale mossa. Non è un mistero che l’intreccio tra Intesa e Generali è uno dei punti delicati dell’assetto di potere della grande finanza nazionale.

E lo è diventato ancor più dall’estate scorsa, dopo la fusione Unicredit-Capitalia, che ha portato in capo al solo Unicredit la quota principale del capitale di Mediobanca, che a sua volta è primo socio delle Generali. In questa chiave, il rapporto azionario tra Intesa e Generali è ora più lineare e meno «minaccioso».

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