Intesa verso l’aumento: decide il prossimo cda Poi tocca a tutte le altre

nostro inviato a Cernobbio

Il tema del giorno, nel Workshop Ambrosetti di ieri a Cernobbio, è quello della ricapitalizzazione delle banche italiane. Il «La» è arrivato da Intesa che, dopo un paio di giorni di indiscrezioni seguite all’aumento di capitale da un miliardo annunciato da Ubi, e dopo le voci di un’imminente operazione da 5 miliardi, ha emesso una nota in cui si dice che sull’aumento di capitale decidono i consigli del 5 aprile, nell’ambito del nuovo piano industriale. Una formula che sembra lasciare più di una porta aperta verso la ricapitalizzazione. E che è stata infine apprezzata dal mercato, con il titolo in rialzo dell’1%.
D’altra parte, a Villa d’Este, economisti e banchieri danno l’ondata di aumenti di capitale come inevitabile. Non solo per la solidità delle banche, ma soprattutto per gli effetti sul credito. In uno studio Ambrosetti curato da Paolo Savona su «Mercati, banche e imprese verso Basilea III», si cita l’ipotesi di Bankitalia di un bisogno di nuovo capitale con un minimo di 12 e un massimo di 40 miliardi, a seconda degli obiettivi minimi e massimi di qualità primaria del patrimonio imposti da Basilea. Ebbene, senza queste operazioni, le banche saranno costrette a ridurre gli impieghi fino a 436 miliardi (172 nel caso minimo). Il che corrisponde a una riduzione dei prestiti del 24% (9%) rispetto al 2009. Di questi, 206 verranno a mancare alle imprese, 120 alle famiglie. Il che, tradotto in altri termini, vale il 13,9% del Pil. Lo scenario peggiore rispetto agli altri Paesi europei. Ma l’altro lato della medaglia è che, con un patrimonio aumentato, le banche dovranno macinare una quantità di utile sufficiente a remunerare i loro azionisti che, viceversa, non saranno invogliati a sottoscrivere. Lo studio stima che, per avere un Roe del 4%, il sistema deve generare utili di almeno 8,3 miliardi: 2 di più di quanto previsto per il 2011.
Infine il ruolo delle Fondazioni: lo studio Ambrosetti stima per gli Enti un esborso di 3,9 miliardi. Una cifra enorme: corrisponde al 31% dell’attivo liquido degli enti ex bancari e al 10% del totale degli attivi del 2010. Se invece le Fondazioni decidessero di diluirsi, il loro peso passerebbe dal 16, al 13% nel capitale delle principali banche. In questi numeri sta tutta la difficoltà dell’operazione «nuovo capitale», che d’ora in poi sarà il pane quotidiano della Borsa italiana.
E sempre a Cernobbio Lorenzo Bini Smaghi, alla domanda se le banche abbiano seguito le indicazioni della Bce di mettere gli utili a riserva, ha detto che «devono farlo, è il mercato che lo chiede non solo Basilea III». Il che, al momento, non è stato fatto nè da Unicredit, nè da Mps, anche se hanno dato una cedola ridotta. Tornando a Intesa, il tema degli azionisti diventa fondamentale.

Detto delle Fondazioni (che complessivamente hanno quasi il 25% e che dovrebbero trovare il modo per onorare l’impegno) è molto meno facile che lo stesso faccia la Tassara di Zaleski (con il 2,5%) e il Credit Agricole con il 4,9% e già dato in uscita. Mentre per Generali (4,9%), il caso Intesa diventa un altro bell’argomento per il cda del 6 aprile: detto che con Intesa non esistono più partner industriali, il sostegno alla banca di Bazoli andrà dato oppure no?

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